2015-01-02 08:01:00

Il Fronte al Nusra conferma: “Abbiamo noi Vanessa e Greta”


Il Fronte al Nusra, gruppo siriano legato ad al Qaida, ha confermato di tenere in ostaggio Greta Ramelli e Vanessa Marzullo; le due cooperanti italiane riapparse in un drammatico video il 31 dicembre dopo cinque mesi esatti dal loro rapimento. Immagini ritenute autentiche dall’intelligence e dai magistrati italiani che parlano di “fase delicata” e mantengono il massimo riserbo sulle indagini. Il servizio di Marco Guerra:

“È vero, abbiamo noi le due italiane, perchè il loro Paese sostiene i raid in Siria contro di noi”, con queste parole, rilasciate all’agenzia tedesca Dpa, Abu Fadel, membro del Fronte al Nusra, conferma che Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono tenute in ostaggio dal gruppo affiliato ad al Qaeda. Notizia avvalorata anche dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo cui le due cooperanti si troverebbero alla periferia occidentale di Aleppo. Dunque, le due donne non sono nelle mani del sedicente Stato Islamico, come si era temuto a lungo in questi cinque mesi di silenzio che hanno preceduto il drammatico video pubblicato il 31 dicembre, ma sul resto della vicenda le autorità inquirenti  italiane mantengono il massimo riserbo. “E' una fase delicata e deve essere caratterizzata da riservatezza e prudenza”, dice il pm di Roma, Sergio Colaiocco, titolare dell'inchiesta. Intanto sul terreno in Siria, non si fermano le violenze. Nel 2014 sono state più di 76mila le vittime, la metà delle quali civili. Proseguono anche i raid della coalizione internazionale sulle roccaforti dello stato islamico; 29 quelli effettuati nel primo giorno dell’anno.

Ma per un commento sulle strategie del gruppo al Nusra e sulla situazione della sicurezza in Siria, sentiamo Domenico Quirico, inviato della Stampa che ha vissuto oltre 150 giorni di prigionia proprio nelle mani della formazione qaedista:

R. – Conosco al Nusra per essere stato suo prigioniero, ma forse bisogna fare una piccola precisazione sulla situazione siriana. Le formazioni jihadiste sono formazioni spesso autonome, per cui l’atteggiamento, la loro strategia e le loro idee possono cambiare a seconda del comandante, dell’emiro di quella formazione. Per cui, dire “al Nusra” è dire una parola; poi ci sono tante brigate di al Nusra, alcune più fanatiche, altre meno, alcune formate esclusivamente – chessò – da ceceni piuttosto che da afghani, altre formate da siriani o da libici, o da combattenti di altri Paesi musulmani … Per cui, la situazione è talmente scomposta, in quella guerra civile, che dire “sono prigioniero di al Nusra” vuol dire tutto e non vuol dire niente. Dipende da chi sono gli uomini di al Nusra che ti detengono. In Siria, oggi, è impossibile fidarsi di chiunque …

D. – Qual è lo scopo di questa strategia dei sequestri?

R. – La strategia dei sequestri ha scopi diversi a seconda di chi li compie: ci sono gruppi banditeschi che usano i sequestri per fare denaro e sequestrano non solo gli stranieri. Ci sono, invece, formazioni jihadiste, come ad esempio l’Isis o il Califfato che dir si voglia, che sequestrano stranieri per strategie di comunicazione che nulla o quasi nulla hanno a che fare con l’estorsione. Per cui, anche qui siamo a livello di frammentazione, di diversi scopi. Spesso possono esserci anche dei piani in cui i due scopi si mescolano: c’è lo scopo del sequestro per dimostrare il proprio potere in una certa zona, e allo stesso tempo per ottenere denaro.

D. – Rispetto a un anno fa, alla vicenda che tu hai vissuto, come è cambiato il contesto siriano?

R. – E’ radicalmente cambiato, perché c’è un attore che un anno fa non esisteva neanche sul piano linguistico, cioè il Califfato. Un anno fa, la Siria era una guerra civile in cui c’erano numerosi attori – da una parte, ovviamente, Bachar e il regime, dall’altra c’erano formazioni dell’armata siriana libera che era, come dire, di tipo laico; c’erano anche formazioni islamiste come al Nusra, che era già presente sul terreno – e ora tutto questo è stato in qualche misura omogeneizzato dall’irrompere del Califfato, che è nato in Siria e non in Iraq. La rapidità con cui questo è cambiato, dovrebbe farci riflettere, nel senso che la vittoria dell’Isis è avvenuta in modo quasi fulmineo. Ripeto: io sono stato liberato a settembre del 2013 e quando parlavo del Califfato mi ridevano dietro. In un anno, tutto questo è diventato uno Stato che – mi spiace constatare – nonostante i bombardamenti, i raid, i droni e le chiacchiere, nessuno è riuscito ancora a spostare di un millimetro.

D. – Quindi, ora la Siria è da considerare off-limits per qualsiasi soggetto straniero che intenda operare sul terreno?

R. – Assolutamente sì. L’irrompere del Califfato ha cambiato completamente lo scenario, lo sfondo. Cioè, una volta uno andava in Siria e si rivolgeva ai contatti, con l’armata siriana libera entrava e aveva un ragionevole margine di sicurezza. Gli islamisti hanno i loro progetti, ma tra questi progetti non c’è certamente quello di aiutare gli stranieri a vedere chi sono! Hanno strumenti di comunicazione che sono loro, autonomi e lo vediamo dalle campagne di comunicazione che fanno; e tutto questo significa che andare lì equivale a un suicidio …








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