2014-12-28 12:41:00

Appello Onu al Pakistan: no al ritorno alla pena di morte


Il Pakistan ha respinto gli appelli dell'Onu e dell'Unione europea a fermare le impiccagioni riprese negli ultimi giorni. "Il Pakistan rispetta la comunita' internazionale - ha detto un portavoce governativo Tasnim Aslam  - ma il Paese sta attraversando circostanze straordinarie che richiedono misure straordinarie". Sono circa 500 le esecuzioni annunciate dopo la strage alla scuola militare di Peshawar. Si tratta di terroristi incarcerati per altri attentati. La loro esecuzione era stata sospesa perché Islamabad, pur non avendo mai accettato l’abolizione della pena capitale, aveva però adottato una moratoria dal 2008. Della triste scelta di tornare a mettere in atto la pena capitale e della drammatica situazione di violenza che il Pakistan vive, Fausta Speranza ha parlato con Alessandro Pio, che segue le questioni asiatiche per l’Ispi, Istituto di Studi di Politica Internazionale:

R. – Il Pakistan di fatto non ha il controllo di una gran parte della fascia di confine con l’Afghanistan, o un controllo quantomeno limitato. Ha responsabilità nell’aver alimentato una serie di realtà radicali più o meno talebane, più o meno jihadiste, impiegate sia in chiave e in funzione anti-indiana, sia per destabilizzare l’Afghanistan, per prendere il controllo dell’Afghanistan, per assicurarsi il controllo delle aree di confine. Il problema è che poi queste realtà estremiste radicali sfuggono al controllo istituzionale e si generano questi fenomeni. Per cui non mi stupisce una scelta schizofrenica come questa, molto di istinto e simbolicamente molto avvertibile e riconoscibile come la sospensione della moratoria.

D. – Le esecuzioni capitali non possono piacerci, ma va anche detto che sicuramente non sono davvero una soluzione: non per questo spariranno gli attentati in Pakistan…

R. – Assolutamente no! Non ci sarà meno terrorismo per questo. Non è che il Pakistan quando fa le operazioni antiterrorismo nelle zone tribali ci vada piano o ci vada col guanto di velluto, tutt’altro! Ma la forza non sortisce effetto. Per cui diciamo che non è assolutamente la risposta, quella della sospensione alla moratoria, e che anzi rischia di alimentare ulteriori fenomeni di terrorismo, di insurrezione e così via…

D. – Dunque, quali soluzioni intravedere, quali soluzioni immaginare?

R. – Conoscendo anche personalmente questo Paese, una delle soluzioni – ma è molto complicata – sarebbe anche quella di rivedere una politica che questo Paese ha portato avanti negli ultimi 15 anni di relazioni, rapporti, con certe realtà radicali jihadiste dell’area. Quello potrebbe essere già un primo passo. Il secondo passo - e questo chiama in causa la comunità internazionale – è mettere fine, una volta per tutte, all’annoso ultradecennale conflitto con l’India, che in qualche misura il Pakistan ha vissuto sempre in una posizione di inferiorità e che per attutire – diciamo – questa sua posizione di inferiorità ha sempre fatto ricorso, contro l’India, anche all’utilizzo e all’appoggio di realtà jihadiste. Non dimentichiamo che India e Pakistan sono tuttora due Stati tecnicamente in guerra: quindi, da questo punto di vista io mi aspetterei che la comunità internazionale, l’Onu e soprattutto gli Stati Uniti facciano finalmente un deciso passo per riportare le relazioni tra questi giganti del subcontinente indiano non dico alla normalità, ma quantomeno alla accettabilità politica e strategica.

D. – C’è anche un tessuto sociale da recuperare dopo anni di conflitto, perché è un territorio che vive la guerra quotidiana praticamente…

R. – Assolutamente! Il Pakistan purtroppo ha dovuto fare i conti con la cronica instabilità e il cronico stato di guerra dell’Afghanistan, dal ’79 in avanti. Quindi in qualche misura è stato anche vittima, vittima inconsapevole di questo stato di cose. Poi mettiamoci anche il conflitto storico con l’India e questo ha fatto sì che il Paese dovesse, per forza, destinare gran parte delle proprie risorse alla difesa, al riarmo militare… Il tessuto sociale si è assolutamente fratturato, sfilacciato dopo anni di guerra, dopo anni anche di politiche un po’ settarie favorite anche dallo stesso establishment del Paese. Non dimentichiamoci che il Pakistan è lo Stato dove è morta Benazir Bhutto, probabilmente uno dei più assurdi complotti che la storia recente, a livello di Stato, ricordi negli ultimi anni.








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