2014-12-15 13:40:00

Sydney: decine di ostaggi, sequestratore ha bandiera islamica


Continua l'assedio alla cioccolateria Lindt a Martin Place, nel cuore di Sydney, dove un uomo armato tiene in ostaggio dalle 9 ora locale – le nostre  23 di ieri – tra le 40 e le 50 persone. Cinque di loro sono finora corse fuori dal bar, ma le autorità australiane non hanno chiarito se siano state rilasciate o siano riuscite a fuggire. Il servizio di Giada Aquilino:

Un drappo nero con la scritta in arabo “Non c'è altro Dio al di fuori di Allah”. È l’immagine che scorre sulle televisioni australiane e rimbalza sui social network di tutto il mondo. L’uomo armato - la cui identità sarebbe stata individuata ma non viene al momento resa pubblica per motivi di sicurezza - tiene in ostaggio dipendenti del caffè e clienti, proprio a pochi metri dalla redazione di Channel Seven, la tv locale che ha dato l’allarme e ha cominciato a trasmettere l’assedio in diretta. Il sequestratore pare abbia detto di avere quattro bombe e abbia chiesto di parlare con il primo ministro Tony Abbott. La vice comandante della polizia, Catherine Burn, ha riferito che gli agenti - che hanno circondato e interdetto l’area ai non autorizzati - sono in contatto con l'uomo, ma i suoi moventi non sono chiari e non si sa se ci siano collegamenti con l’estremismo dello Stato Islamico d’Iraq e Siria. Il Gran Mufti d'Australia, Ibrahim Abu Mohamed, ha duramente condannato la presa d’ostaggi, mentre ciò che sta avvenendo assume l'aspetto di un attacco annunciato, visto che già il 12 settembre scorso il premier Abbott aveva portato ad “alta” la minaccia di un attentato terroristico ed erano scattati arresti in tutto il Paese.

In questo quadro, quanto incide dal punto di vista mediatico l’esposizione della bandiera nera che rimanda al sedicente Stato Islamico (Is)? Risponde Dario Fabbri, consigliere redazionale della rivista di geopolitica Limes:

R. - Evidentemente incide molto. Il fatto stesso che la bandiera sia divenuta oggetto di dibattitto e che sia stata rilanciata da tutti i media internazionali ci dà un po’ il metro di quanto, in questo momento, il terrorismo islamico o sedicente tale sia destinato ad avere una risonanza globale. Del resto non può essere altrimenti, specie nelle società occidentali, quindi anche la nostra, dove un po’ tutto si aspettano - e speriamo che non sia così - il ritorno di guerriglieri che hanno combattuto al fronte in Siria o che sono stati radicalizzati sul territorio, per poi agire nelle nostre società in maniera terroristica. Nel caso specifico di Sydney, è impossibile ovviamente stabilire se si tratti - come sembrerebbe per altro - di un lupo solitario locale piuttosto che di un ex miliziano. In ogni caso, l’impatto che questa vicenda sta avendo a livello internazionale ci dà la sensazione di come tutte le nostre società occidentali siano in questo momento ipersensibili alla minaccia terroristica di stampo islamico.

D. - Che legami ci possono essere tra l’Australia e l’estremismo del sedicente Stato Islamico di Iraq e Siria?

R. – Sappiamo, perché ce lo dicono le autorità australiane, che ci sono tra i cento e i duecento cittadini australiani di origine mediorientale che hanno partecipato o stanno partecipando alla costruzione, alle battaglie dello Stato Islamico. È interessante rilevare a riguardo che gli ultimi mesi le autorità australiane hanno ritirato più di 50 passaporti, cioè li hanno annullati proprio per impedire a chi è andato all’estero a commettere questo tipo di azioni di ritornare in patria. Un altro dato interessante è che nelle ultime ore c’è stata un’azione antiterrorismo molto ampia a Sydney, che ha portato all’arresto di diverse persone. Sempre negli ultimi giorni, i vertici dello Stato Islamico in alcuni videomessaggi hanno invitato proprio i loro adepti in Australia ad effettuare azioni terroristiche.

D. - Su certi siti arabi si sono letti commenti di solidarietà con il sequestro di Sydney. È uno degli effetti della strategia comunicativa dell’Is?

D. - Senza dubbio. Abbiamo scoperto in questi mesi quanto gli esponenti dello Stato Islamico siano abili, capaci ad utilizzare i social network e in generale a muoversi nella rete telematica. Non può quindi rappresentare una sorpresa immaginare che moltissime persone, o comunque un numero rilevante di queste, stia esprimendo solidarietà se non addirittura ammirazione per quanto sta accadendo a Sydney.

D. - Invece una dura condanna al sequestro è arrivata dal Gran Mufti di Australia. Quanto servono queste prese di posizione del mondo islamico?

R. - È difficile dirlo, perché comunque il Gran Mufti ha evidentemente una presa soprattutto sugli islamici moderati, sulle persone che guardano all’Islam semplicemente come un fenomeno spirituale, molto meno fondamentalista e politico di come invece lo interpretano i leader dello Stato Islamico, che si rivolgono ad una massa radicalizzabile o già radicalizzata da questo punto vista. Però è evidente che questi due ‘campi’ si incontrano nel momento in cui il sedicente Califfo e il sedicente Stato Islamico si propongono come leader indiscussi dell’umma, dell’ecumene islamica. Questa è dunque un’offensiva del tutto ideologica che pone lo Stato Islamico in contrasto con tutti i principali Stati arabi e musulmani, ma anche con tutte le autorità religiose islamiche. Tutto ciò evidentemente è una ragione in più per condannare azioni che sono già di per sé criminose.








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