2014-12-15 13:36:00

Papa Francesco, strumento di pace nel libro di Paolo Loriga


E’ stato presentato a Roma il libro “Francesco e Gerusalemme. Sfida religiosa e politica”, appena pubblicato dalla casa editrice “Città Nuova”. Autore del volume è il giornalista Paolo Loriga che mette a disposizione del lettore ciò che ha visto e provato seguendo da vicino la visita del Papa in Israele e in Giordania lo scorso maggio. Da quel viaggio, sostiene l’autore, è emersa l’idea stessa di Chiesa secondo il Papa, una Chiesa che si mette in cammino verso la pace a fianco degli uomini, condividendo le loro esistenze, in spirito di servizio. Ma ascoltiamo Paolo Loriga, nell’intervista di Adriana Masotti:

R. – Io ho avuto una condizione privilegiata, quella di poter arrivare prima e dunque parlare con tante persone e cogliere dal vivo le attese che c’erano nei confronti di questa visita. Tutto questo mi ha aiutato a comprendere ancora di più il significato e la portata di questo viaggio internazionale di Papa Francesco, lì dove sembra che non ci possa essere pace, non ci possa essere speranza, non ci possa essere futuro. Ovviamente, il momento più emozionante per me, anche perché apriva uno scenario inaspettato, è stato quando, nella piazza della Mangiatoia a Betlemme, ha annunciato che avrebbe invitato a casa sua i due presidenti, quello israeliano e quello palestinese. Il Papa parlava in italiano e quando è stato detto in lingua araba c’è stata l’esultanza, l’emozione, la commozione di tutta la piazza, ed è stato un momento indimenticabile.

D.  – Tu dici che in questo viaggio si è mostrata la visione della Chiesa di Papa Francesco e si è capito ancora di più il carattere del suo papato…

R. – Io oso dire che c’è stato un cambio di passo del pontificato di Papa Francesco, soprattutto perché in questo viaggio lui ha fatto vedere il ruolo che la religione cattolica e le religioni possono svolgere a servizio dell’uomo in questo momento storico così disorientante. Lì si è visto come Lui abbia impostato tantissimo del suo impegno riguardo al rapporto con il Patriarca Bartolomeo e con le altre Chiese cristiane proprio per dare una testimonianza di unità in cammino, che è la condizione perché la cristianità possa tornare ad essere autorevole e quindi anche poter dialogare con l’ebraismo e con l’islam sui temi del servizio all’uomo e della pace. Il fatto poi  che lui non abbia partecipato a un convegno interreligioso ma, come pellegrino, sia andato a trovare sia il Gran Muftì, sia i due Gran Rabbini di Israele, ha dato una valenza particolare all’atteggiamento e anche alla logica di Papa Francesco: quello di privilegiare in questa fase l’incontro, l’apertura, i rapporti interpersonali, perché lui ha capito che prima di tutto bisogna partire da un rapporto di fiducia perché ciò che domina il Medio Oriente è la paura dell’altro, è la mancanza di sicurezza. E allora solo i rapporti interpersonali, così autorevoli, possono impostare un futuro di pace.

D. – E' possibile parlare di un cammino già cominciato nel segno del dialogo, della reciproca accettazione, almeno a livello di gruppi di persone, tra israeliani e palestinesi?

R. – Certo, sì, è un cammino già avviato da tanto tempo perché ci sono persone di buona volontà, operatori di pace, tessitori di dialogo sia tra gli israeliani che tra i palestinesi, tra i cristiani, tra i musulmani, tra gli ebrei, perché avvertono che la logica militare non può portare assolutamente a nessuna soluzione. Ed ecco che questa collaborazione tra piccoli gruppi - ma sono sempre più numerosi - e che adesso si stanno ponendo anche in rete è una grande garanzia per il futuro. La presenza, le parole e i gesti di Papa Francesco in quei giorni sono stati un grande nutrimento per la speranza dei singoli e di questi gruppi.








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