2014-12-12 14:54:00

Rom e Sinti: basta con i campi, ghetti senza speranza


In Italia, vivono circa 180 mila Rom e Sinti, sono la terza minoranza dopo sardi e friulani, e continuano a essere uno dei gruppi più discriminati ed esclusi. Se ne è parlato ieri al Senato, in un Convegno dal titolo “Il popolo Rom: dall’emarginazione all’integrazione possibile”, organizzato da varie associazioni in collaborazione con la Commissione Diritti umani del Senato. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

L’Italia è il Paese dei campi nomadi, perché è in Italia che, nonostante l’esiguo numero di Rom e Sinti rispetto a ad altre realtà europee, ne è concentrato il più alto numero. E’ da questi ghetti che parte il processo di discriminazione, istituzionale ancor prima che sociale. Se ne è parlato ieri, al Senato, un momento per fare il punto sulla situazione che vivono Rom e Sinti in Italia e in pieno scandalo "Mafia capitale", che ha messo in luce il business legato ai campi nomadi. Questi luoghi – è stata la denuncia – rappresentano la violazione dei diritti dell’uomo, del diritto alla salute e, per i ,minori la violazione del diritto alla famiglia e all’istruzione. Eppure, nonostante la "Strategia nazionale di inclusione dei Rom", approvata quasi tre anni fa dal governo italiano, preveda il superamento dei campi rom, attualmente se ne stanno progettando di nuovi in almeno dieci città. Lo dice Carlo Stasolla, presidente dell'Associazione 21 luglio:

R. – L’Italia è chiamata “il Paese dei campi” e quindi è il Paese che ha ritenuto che per i Rom in emergenza abitativa, la soluzione fossero i campi. Quindi, bisogna partire dal campo, il luogo dove inizia la violazione del diritto e di tutti i diritti, e quindi dal superamento dei campo per iniziare un reale processo di inclusione.

D. – “Mafia capitale”, per quanto un drammatico scandalo, può aiutare?

R. – Può aiutare perché mette in crisi un sistema-campi incancrenito nella nostra capitale da 20 anni. Giusto un mese fa, il sindaco Marino ha chiesto alla nostra organizzazione un piano, una road-map, per superare i campi, che è stata presentata e che speriamo che il sindaco adesso faccia propria e che prevede proprio la riconversione dei 24 milioni di euro che il Comune di Roma spende ogni anno per il mantenimento del sistema-campi, in progetti di uscita, progetti di inclusione. E’ possibile farlo, tante città lo hanno dimostrato: da Padova a Messina. E’ possibile chiudere i campi. Purtroppo, sono tanti gli enti e le organizzazioni che vanno in direzione contraria. E su questo noi dobbiamo confrontarci per arrivare veramente alla chiusura di questi ghetti etnici nei quali i diritti sono sospesi.

D. – Se prima poteva essere legata all’introito criminale, oggi perché la volontà politica di mantenerli? A cos’altro possono servire?

R. – Non c’è solo un introito criminale, c’è anche un introito legale di tutto l’indotto. Solamente nella città di Roma, sono 35 le organizzazioni che non sono assolutamente criminali, che si muovono attorno al sistema-campi. C’è quindi un indotto che si muove, non necessariamente criminale assolutamente, ma comunque un indotto fallimentare – perché ha prodotto finora risultati fallimentari – e che determina il fatto che questi soldi non vadano ai Rom e quindi al percorso di inclusione, ma vanno alle 400 persone che lavorano attorno ai campi. Quindi, questo va superato, sono queste le persone e gli enti che si oppongono alla chiusura dei campi.

D. – Lei ha lanciato un appello ai Rom che non vivono nei campi, che sono una minoranza, che sono nelle case, li ha incitati ad uscire allo scoperto. Per quale motivo?

R. – Loro fino adesso sono rimasti mimetizzati per paura di essere discriminati, e questo è legittimo e comprensibile. E’ venuto il momento di dimostrare che ci sono Rom fuori dai campi, che è possibile un’inclusione, che ci sono storie di successo. E’ importante, ed è una responsabilità per questi Rom in questo momento storico, uscire allo scoperto e dire: “Anch’io sono Rom, anch’io che lavoro regolarmente, che pago un affitto, che pago le tasse. Anch’io sono Rom”. Questo aiuterebbe anche a cambiare nella società maggioritaria un’immagine profondamente negativa e stereotipata che si ha.

Manca ancora molto per far sì che la popolazione rom abbia nella società il posto che le compete. “Siamo 14 milioni nel mondo, di questi 12 milioni sono in Europa, nonostante questo – spiega Beatriz Carrillo de los Reyes, gitana spagnola, antropologa, presidente della Associazione delle donne gitane universitarie di Andalusia – è la cultura più ignorata e perseguitata, vittima di stereotipi che cercano di negarla e di impedire che si riconosca”.

R. – La situacion en Italia, para mi, es una situacion muy tragica...
La situazione in Italia è, secondo me, molto tragica. E quello che più mi allarma è quanto sta succedendo riguardo soprattutto allo smantellamento dei campi. La strategia che si sta applicando è una politica discriminatoria, mentre la politica dovrebbe puntare alla neutralità. Quando si perseguitano i rom, quello che si vuole fare è costruire un nemico nel mezzo di una crisi economica. Noi non siamo rappresentati, non abbiamo potere politico, i nostri valori e il nostro diritto ad essere protetti come minoranza etnica non sono difesi. Io qui la situazione la vedo tragica, ma la vedo tragica anche in Spagna. Io credo che a livello europeo si stiano colpendo fortemente tutti i princìpi comunitari e si stiano dimenticando tutti i trattati. Si sta dimenticano di cercare di unire tutte le nazionalità e tutte le culture per creare convivenza e armonia tra gli esseri umani. E in questo momento con questa crisi economica stanno usando come capro espiatorio le minoranze etniche, come quella gitana, tra l’altro noi non siamo certo una minoranza, visto che siamo circa 12 milioni di cittadini e cittadine, che è come dire la popolazione di un Paese come la Grecia. E tuttavia continuano a umiliarci e continuano a maltrattarci. E perché questo? Perché umiliare e attaccare i gitani è facile, non costa nulla! E questo lo vediamo nella repressione, e dovrebbe essere condannato, dovrebbe essere considerato “terrorismo razziale”. L’Unione Europea deve mettersi al passo e condannare tutti quegli Stati e a tutti quei politici che sostengono questo tipo di crimini contro i gitani. Tra l’altro, tutti i parametri economici dicono che un Paese che elimina le differenze e le disuguaglianze è un Paese in crescita economica e con questo dobbiamo fare i conti.

I Rom, i Sinti, chiedono giustizia storica, e chiedono soprattutto che i media non li ingabbino in un quadro di miseria, povertà e delinquenza. Damiano Cavazza, ha 31 anni, viene da Lucca ed è un sinto:

R. – Viviamo in un periodo in cui vengono violati i diritti riportati nella Costituzione, gli articoli 1, 2 e 3 nei quali si parla di “dignità” e di “diritti umani”. Io sono qui per chiedere un riscatto, non economico, ma di dignità per il mio popolo.

D. – La tua comunità, il tuo popolo, se ha sbagliato, in cosa?

R. – Nell’essere ignorante, nell’essere non curante degli stessi diritti di cui di base noi necessitiamo, come tutti. I campi nomadi, ad esempio, non sono realtà che il sinto o il rom ha scelto di avere e in cui vivere per tutta una vita, ma una condizione che lo Stato ha creato.

D. – Il fatto che il popolo Rom, il popolo dei Sinti sia nomade e per questo venga quindi attuata una serie di politiche, è una leggenda?

R. – Sì. I Rom e i Sinti non sono mai stati nomadi. Se fuggivano, è perché non erano accettati in una città o in un Paese, qualsiasi esso sia, dove cercavano di sviluppare con coscienza, con cuore e con umiltà un rapporto vero.

D. – Voi cosa fate, però, per farvi conoscere, per includere, voi, i cittadini?

R. – Parlando per me, io lavoro da quando ho 14 anni. Ora come ora sono disoccupato perché, sempre per questioni razziali, ho dovuto lasciare il mio lavoro, che era di operatore ecologico a Lucca. Ripeto: lavoro da quando ero ragazzino. Se l’integrazione è legata al lavoro e a una dialettica più corretta, italiana, per esprimere meglio ciò che pensi, io questo faccio e cerco di passare questo messaggio ai miei cugini, ai miei fratelli e quindi al mio popolo in generale.








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