2014-12-12 14:25:00

Afghanistan, Pangea: non si abbandoni il Paese


Ferma condanna del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dopo l’attentato suicida che ieri ha colpito un centro culturale francese di Kabul, causando la morte di un cittadino tedesco e dell'attentatore, oltre a una ventina di feriti. L’organismo dell’Onu esprime serie preoccupazioni alla società afghana e alla presenza internazionale nel Paese di fronte alle minacce da parte di talebani, al Qaeda e altri gruppi terroristici. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Simona Lanzoni, portavoce di Pangea onlus, l’Associazione che porta avanti numerosi progetti umanitari in Afghanistan:

R. – Ultimamente, abbiamo visto un aumento degli attentati, soprattutto dopo le elezioni presidenziali, che hanno portato all’avvicendarsi di Karzai e Ghani e come primo ministro il suo concorrente, Abdullah Abdullah. Pensavamo che questo potesse essere anche un momento di chiusura di tensioni che c’erano state durante tutto il periodo elettorale, in realtà tutto novembre è stato all’insegna di attacchi terroristici – non solo a Kabul, ma nell’intero Paese – e la popolazione si interroga su quale sarà il proprio futuro. C’è poi il momento di chiusura della missione Nato, e quindi anche di quella americana, che si trasforma in altro. E chiaramente la sicurezza in questo momento è nella mani dello Stato afghano e questo vuol dire un impegno maggiore sia per le istituzioni afghane, ma allo stesso tempo anche per noi Comunità internazionale.

D. – In questo clima come riescono a lavorare gli operatori umanitari, tra i quali ci siete anche voi di Pangea Onlus?

R. – Noi come Fondazione Pangea siamo molto responsabili del fatto di continuare a mantenere il nostro impegno, a stare vicino alla popolazione afghana e alle donne afghane in particolare, come facciamo da sempre con il nostro progetto di microcredito. Quindi, è chiaramente una sfida anche per tutta la comunità internazionale a non abbandonare l’Afghanistan, continuando a garantire la costruzione di un futuro diverso.

D. – Il problema che rimane in piedi è quello, come sempre, dei rapporti con i talebani?

R. – Sì. Rimane un problema anche rispetto alle milizie afghane – perché non è detto che all’interno delle milizie non vi siano dei talebani – come anche quale sarà la sostenibilità effettiva di tutto l’apparato militare afghano nei confronti proprio del mantenimento della sicurezza e c’è tutta la questione anche del mantenimento della struttura militare, perché ricordiamoci anche che in questi prossimi anni sarà mantenuta anche da quello che la comunità internazionale sarà capace di poter dare. Tutti questi attacchi che ci sono, chiaramente fanno pensare che ci sia una volontà di alzare il livello di contrattazione chiaramente verso i talebani.

D. – Questo periodo come lo giudichi, in rapporto a quelli che sono stati altri periodi difficili?

R. – E’ un periodo rischioso, perché adesso è veramente un momento di passaggio: si è conclusa la fase della presenza militare straniera e quindi si chiede una presa di responsabilità da parte dello Stato e questo vuol dire però anche da parte di tutta la popolazione. Ci saranno più forze contrapposte che dovranno imparare a dialogare, accompagnati dalla comunità internazionali. Altrimenti, sarà molto difficile prevedere un futuro di pace, come noi veramente crediamo che sia possibile.








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