2014-12-06 14:18:00

Carcere Paliano, mons. Sigalini cresima due detenuti


Giornata particolare questa mattina nell’Istituto di pena di Paliano, in provincia di Frosinone. Due detenuti, collaboratori di giustizia, hanno ricevuto il Sacramento della Cresima. Il rito è stato presieduto dal vescovo di Palestrina, mons. Domenico Sigalini. Ce ne parla Davide Dionisi:

Una celebrazione né preceduta, né circondata da campagne promozionali. Nell’Istituto di pena di Paliano, carcere che ospita solo una settantina di collaboratori di giustizia, i detenuti sono prima di tutto persone e la parola d’ordine per chi lavora al loro fianco è una: rispetto per chi si trova in difficoltà. Oggi, due di loro hanno ricevuto la Cresima, a testimonianza che anche da “ristretti” un percorso virtuoso è possibile. Ne è convinto il vescovo di Palestrina, mons. Domenico Sigalini:

R. – Come no! Direi che proprio il fine che ha un carcere, un istituto di pena, è quello di ridare dignità alla persona che l’ha persa, perché è incorso in alcune cose che non poteva fare, che non doveva fare o in responsabilità che non si è assunto. Quindi, c’è apposta un Istituto di pena per aiutare una persona a recuperare la sua dignità e quella si recupera abbastanza bene, per quel che vedo io…

D. – Continuando a rimanere accanto ai detenuti, oggi chi opera in carcere è chiamato a spostare l’attenzione dall’Istituto di pena, quale luogo di recupero, ai territori. Ma ancora è troppo imperante la politica di intervento riparatore piuttosto che un progetto organico…

R. – Sì, purtroppo non siamo attrezzati soprattutto in questo tempo in cui, per esempio, il lavoro è una perla preziosa che non trovi da nessuna parte: averlo per queste persone sarebbe l’ideale, perché potrebbero mettersi dentro alla vita in maniera concreta, misurarsi con dei progetti, con la fatica che ha un suo risultato. Siamo quindi un po’ in difficoltà in questo tempo, anche se riescono lo stesso, con alcune interazioni col territorio, a trovare uno sfogo e uno spazio se non immediato magari nel prossimo futuro. Qui ci sono anche dei collaboratori di giustizia che poi dovranno tornare a vivere in altri modi e identità. Quindi, sarà importantissimo dare loro questa indipendenza nella vita.

D. – In passato, a sostegno di politiche repressive si sono invocate la paura e la sicurezza. Considerare creature umane che hanno sbagliato come persone da rinchiudere e sigillare perché pericolose non cancella, secondo lei, il diritto di cittadinanza ed elimina di fatto questa tutela?

R. – Sì, è vero che cancella il diritto di cittadinanza, ma io dico che cancella la speranza. Se tu cancelli la speranza in un uomo, che uomo è? E’ una specie di pacco che ha già la sua destinazione, non ha più niente di nuovo. Invece, come dice sempre Papa Francesco, che è  contro l’ergastolo, perché spegne la speranza in una vita  - e lo ho ricordato anche ai ragazzi oggi - se non abbiamo speranza, non siamo più neanche persone. Quindi tutto questo lavoro che deve essere fatto dalla legge, dai nostri istituti giuridici deve essere assolutamente aperto a questa prospettiva di futuro, pur sapendo che i delitti sono gravi e che tante cose non si riparano assolutamente più. E sono i primi loro a sapere che questo perdono fanno fatica a ottenerlo dalle persone, lo hanno soprattutto e soltanto da Dio.

Paliano è un esempio in cui direzione, Polizia penitenziaria e volontari hanno trovato il coraggio della parola e dell’esempio, avallando in via prioritaria politiche solidali e di sostegno per i detenuti. Insomma, ha dato speranza a chi non ne ha. Alla direttrice, Nadia Cersosimo, abbiamo chiesto se questo può essere un modello esportabile:

R. – E’ sicuramente un modello, è un esemplare. Però, dobbiamo tener conto che gli istituti in questo momento soffrono di situazioni gravissime di sovraffollamento e per i quali ovviamente il nostro modello spesso non è applicabile. Noi ci auguriamo che le nostre istituzioni possano riacquistare quella dignità necessaria per gli operatori, ma anche per darla ai detenuti che hanno necessità di riacquistare la loro dignità per poter poi rientrare nella società come uomini liberi, con una revisione critica fatta sul vissuto delinquenziale.








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