2014-12-04 07:31:00

Coalizione anti-Is ferma avanzata jihadisti in Siria e Iraq


L’avanzata del cosiddetto Stato islamico in Iraq e Siria è stata fermata. E’ quanto si legge nel comunicato diffuso al termine della riunione ministeriale dei 60 Paesi che fanno parte della coalizione anti-Is che si è svolta ieri a Bruxelles. “Le azioni militari - si legge - cominciano a dare risultati”: l’espansione del califfato è stata interrotta. Ma non significa che non ci siano ancora attacchi da contrastare, come quello di queste ore verso l'aeroporto militare di Dayr az Zor, nell'est della Siria. Il servizio di Fausta Speranza:

Doveroso cercare di capire cosa stia succedendo nei due punti di crisi più nevralgici che da quest’estate seguiamo nelle cronache: in Siria, la città di Kobane, al confine con la Turchia e in Iraq, la provincia occidentale di al-Anbar. A Kobane dopo settimane di assedio e l’immagine della bandiera nera dell’Is che sventolava vittoriosa, la situazione – secondo il rapporto fatto a Bruxelles – si è ribaltata, grazie all’intervento delle forze peshmerga e i continui raid aerei della coalizione occidentale. Sul fronte Iraq, a ben guardare l’ottimismo è in prospettiva: le violenze dovrebbero diminuire. Al momento è storia di continui attentati anche ai sobborghi e al centro della capitale Baghdad. Significativo che il premier iracheno fa sapere che il suo governo si appresta a chiedere aiuto alla Nato seppure in termini di consulenza. Inoltre, tra tanto ottimismo, c'è un allarme da non trascurare: l'Is - emerge - sta potenziando le sue basi in Libia. Come dire: non mancano altri fronti. E non è di poco conto il fatto che il Presidente Usa Obama parli di 500 milioni di euro da stanziare per potenziare l’impegno, che tutti peraltro sottolineano non si possa non abbandonare. Da parte sua, il Segretario di Stato Usa, Kerry, raccomanda: per "distruggere" l'Is non bastano le armi, "va colpita l'ideologia, il loro messaggio di odio e' messo in discussione nelle moschee di tutto il mondo".  Sul fronte Siria, ci sono da riferire poi le indiscrezioni del Washington Post, secondo il quale i ribelli dell’Esercito Siriano Libero riceveranno addestramento dalle forze militari statunitensi dopo essere stati sottoposti a test psicologici.  

A sostegno della coalizione, contro l’Is, risulta impegnato anche l’Iran. Fausta Speranza ne ha parlato con Claudio Lo Jacono, direttore della rivista Oriente moderno:

R. – Per quanto la cosa ancora non sia confermata, è ritenuta verosimile, probabile dal Pentagono. L’intervento dell’Iran si spiega in base proprio agli schieramenti politici o ideologici che contrappongono i sunniti estremisti dell’Is agli sciiti, non solo nell’Iraq settentrionale, dove ci sono delle minoranze sciite, ma addirittura poi nel Sud dell’Iraq, dove gli sciiti sono decisamente in maggioranza. L’Iran, da questo punto di vista, è il protettore degli sciiti e dello sciismo e, dunque, può intervenire anche in funzione della repressione di un movimento, che colpisce esattamente tutti quelli che non sono in linea con il pensiero dell’Is.  Dunque, anche musulmani, se non estremisti, dunque anche sunniti, oltre che sciiti, dunque anche cristiani, yazidi e tutti coloro che non sono graditi al cosiddetto califfo.

D. – In qualche modo, dunque, questa coalizione, che è nata contro il cosiddetto Stato islamico, sta ridisegnando delle alleanze nell’area o è solo tutto temporaneo, secondo lei?

R. – Questo dipenderà dal fatto se ci sarà un’alleanza o comunque un riavvicinamento sensibile tra Stati Uniti e Iran - perché gli altri, diciamo, non contano – a livello di colloqui sul nucleare, che per il momento sono ancora in una fase tutto sommato di stallo. Nel caso si risolvesse la questione, bisognerà correre anche, perché Obama ha poco tempo davanti a sé ed è presumibile che il nuovo Presidente sarà di tutt’altro avviso, rispetto ad un possibile riavvicinamento tra gli ayatollah e gli Stati Uniti. Se andranno bene quei colloqui, rapidamente allora ci potrebbe essere anche un’azione comune contro il nemico Is.

D. – C’è poi l’allarme su nuove posizioni dello Stato islamico in Libia…

R. – Lo Stato islamico sta diventando un poco come al Qaeda, cioè un’etichetta che può radunare parti ben diverse e lontane tra loro geograficamente. In Libia c’è una componente, da tempo, estremista, legata al fondamentalismo islamico.

D. – In ogni caso la battaglia non si può dare per vinta. C’è stato questo rapporto di Bruxelles sugli ottimi risultati che la coalizione sta avendo, però rimane il bisogno di stare in guardia…

R. – Ma certo, d’altra parte l’Is non è che si comporti sempre esattamente come un esercito regolare. E’ il nemico, in qualche modo, asimmetrico rispetto agli eserciti formali, come noi li conosciamo; ha dunque la possibilità di agire anche in modo terroristico con singole azioni. Sappiamo la paura che esiste della ‘testa matta’ isolata, che può compiere un attentato anche nel cuore dell’Occidente. Quello non è un esercito: è un movimento veramente  complesso, non numeroso ma che può attingere da quelle sacche di odio, che derivano da un’insipiente prolungata politica dell’Occidente nei confronti del vicino Medio Oriente, ma anche da tutta una serie di sconvolgimenti sociali e politici che il mondo arabo, più ancora che quello islamico, ha conosciuto negli ultimi anni.








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