2014-12-01 12:33:00

Aids, Giornata Onu. Ban Ki-moon: eliminiamo Hiv entro il 2030


“Esorto i leader mondiali ad unirsi nella nostra causa comune. Abbiamo fissato un obiettivo audace: insieme, mettiamo fine all’Aids entro il 2030”. Così il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel messaggio per la Giornata mondale contro il virus Hiv, indetta dalle Nazioni Unite, che si celebra oggi. A oggi, sono 35 milioni le persone che hanno contratto il virus: circa 19 milioni di loro non lo sanno. L'epidemia è in aumento in Europa orientale, con dati allarmanti per la Russia, in Asia centrale e in Medio Oriente. Ma, sottolinea Ban Ki-moon, si è “cominciato a invertire la tendenza”. Quasi 14 milioni di persone in tutto il mondo hanno accesso ai trattamenti, le nuove infezioni sono state ridotte del 38% dal 2001, puntando in particolare a evitare la trasmissione da madre in gravidanza a figlio. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente in Malawi Paola Germano, coordinatrice generale di "Dream", il Programma per curare l’Aids in Africa avviato nel 2002 dalla Comunità di Sant’Egidio:

R. – Le infezioni sono diminuite tantissimo e soprattutto sono diminuiti i morti in questi dieci anni. Quindi, io direi che il primo dicembre è anche il segno di una giornata di vittoria. Certo, non è stato fatto tutto.

D. – L’Aids è in aumento in Europa, in Asia centrale, in Medio Oriente. Qual è la situazione in Africa secondo l’esperienza del progetto Dream di Sant’Egidio?

R. – In Africa è molto migliorata, nel senso che c’è stata una riduzione notevole dei casi di Aids e soprattutto del numero dei morti. Però, in Africa si parla ancora di tanti milioni di persone infettate e il 705 delle persone infettate sono nell'Africa subsahariana. Detto questo, più si diffonde la terapia più ci sono dei cali vistosi. Si calcola che il 40% circa della persone che ha bisogno di terapia la riceve. Sono diminuiti del 39%  decessi a causa di Aids, si tratta di migliaia e migliaia di vite umane. La diffusione della terapia ha migliorato tantissimo la situazione in Africa, non soltanto per "Dream" ma per tutti. Di sfide ce ne sono ancora, perché sono ancora pochissimi i bambini che vengono trattati. C’è bisogno di incrementare la cura per i bambini e c’è bisogno che la terapia arrivi a tutti. Ma anche qualche anno fa, ancora tutte le donne incinte sieropositive non ricevevano la terapia per far nascere il bambino sano. Oggi, un po’ tutti i Paesi africani hanno adottato la terapia per far nascere il bambino sano e salvare la vita della madre: cosa che "Dream" fa dal 2002, ma oggi lo fanno tutti.

D. – E' sufficiente portare i farmaci antiretrovirali nei Paesi africani o serve qualcosa di più a livello di sistemi sanitari, di educazione sanitaria?

R. – L’approccio di "Dream" è sempre stato quello di non distribuire soltanto farmaci – nonostante la terapia sia importantissima per curare e per prevenire, perché si abbassa il livello di contagio nella popolazione – ma anche la necessità di fare educazione alla salute, di fare un monitoraggio accurato, creare infrastrutture. Voglio fare un esempio: oggi tutti noi siamo colpiti da quello che sta succedendo agli africani a causa dell’Ebola. Ma questa è soltanto la prova di quello che si dice da anni, cioè che non è sufficiente curare la malattia. Perché Ebola è così grave in Africa? È grave perché è un virus terribile, ma soprattutto non si riesce a controllare perché manca il personale sanitario, mancano le infrastrutture, manca una cultura della salute per cui la gente non riesce a fare le cure per prevenire il virus. Allora, come noi abbiamo sempre creduto fin dall’inizio che non si può curare nessuna malattia in Africa se non con un pacchetto come questo, quindi creare delle infrastrutture, creare i laboratori, formare il personale che possa seguire i malati… Tutto questo va insieme.

D. – Quindi, in particolare qual è il modo di agire di "Dream" rispetto all’Aids, ma anche alla povertà, alla malnutrizione, alla tubercolosi, alla malaria, alle guerre... a tutti quegli altri fattori che comunque incidono nel quadro generale?

R. – La prima cosa è che è un approccio molto cristiano: come dice Papa Francesco, l’uomo è al centro. La persona, il malato sono al centro della cura. Poi, tutto ciò di cui ha bisogno il malato è il pacchetto di "Dream". Questo ha fatto la differenza e questo ci ha permesso di ottenere dei risultati straordinari. Oggi, noi curiamo 250 mila persone in Africa per l’Aids, abbiamo 26 mila bambini nati sani da madri sieropositive, abbiamo raggiunto un milione e mezzo di famiglie… Però, il malato è sempre visto nel suo contesto, non  soltanto sanitario, ma anche sociale ed umano – questo accanto al discorso Aids chiaramente. La nostra lotta è sempre stata anche contro la malnutrizione che è un fatto innegabile in Africa. La gente muore di fame: non si può pretendere di curare una malattia senza dar da mangiare alle persone. Una delle chiavi di successo di "Dream" è la partecipazione attiva dei malati al progetto: loro diventano protagonisti. E in questo modo, non solo ritrovano dignità, ma sono degli strumenti efficaci per aiutare gli altri, per vincere lo stigma nelle famiglie, per impegnarsi nella società per cambiare la mentalità.

D. – Proprio in quest’ottica, come leggere l’obiettivo dell’Onu che punta a porre fine all’Aids entro il 2030?

R. – Trovo sia una cosa importante in cui bisogna credere e continuare a lottare. È possibile perché è dimostrato scientificamente. I risultati che oggi, nel 2014, abbiamo ottenuto sono dovuti al fatto che si è investito molto e si è diffusa moltissimo la terapia, quindi l’accesso alle cure per i malati. Io trovo che l’obiettivo del 2030 sia un obiettivo da percorrere e su cui concentrare gli sforzi di tanti per arrivare a zero infezioni.








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