2014-11-26 12:57:00

Hong Kong ancora tensioni: manette ai due leader della protesta


Un’altra notte di tensioni ad Hong Kong. La polizia ha sgomberato buona parte del grande accampamento di Mong Kok, occupato dai manifestanti che continuano dal 28 settembre scorso a chiedere le dimissioni del capo del governo, CY Leung, e il suffragio universale per le elezioni del 2017. Arrestate almeno 116 persone. A finire in manette anche i due leader di "Occupy Central", Lester Shum e il 18.enne Joshua Wong. Immediata la reazione dei gruppi studenteschi, ma gli agenti hanno usato gas lacrimogeni per disperdere la folla. Ma a che punto è questa protesta? Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Romeo Orlandi, presidente dell’Osservatorio Asia:

R. – Sembra avviata a conclusione, salvo spettacolari novità, questa protesta nobile, genuina, forse anche eroica, degli studenti di Hong Kong che interpretando il sentimento di una parte della popolazione tendevano a diversificarsi dall’approccio della Cina continentale. Il fatto che siano intervenuti gli agenti con i lacrimogeni e con gli spray al pepe significa che la progressiva caduta di responsabilità è arrivata ormai all’ordine pubblico, per cui non è più un problema politico. Il primo scarico di responsabilità è stato però da Pechino ad Hong Kong: Pechino non vuole che questo diventi un fatto internazionale, lo relega ad un fatto locale e probabilmente l’amministrazione di Hong Kong è la vera sconfitta politica della situazione.

 

D. – Il governo non sembra disposto a modificare la legge elettorale, né a concedere il suffragio universale per le elezioni del 2017…

R. – Sembra proprio di sì. Sembra che il governo non sia disposto a delegare, anche perché probabilmente non ha avuto una delega a monte da parte di Pechino, che continua a sostenere che il governatore di un territorio della Cina debba essere nominato dalla Cina, così come quando il territorio era britannico e il governatore veniva nominato ovviamente dal governo britannico. Queste elezioni del 2017, come vuole farle Pechino, sembrano una farsa, nel senso che è già deciso chi debba vincere. Insomma, il governo già decide scegliendo ovviamente i candidati che siano a proprio favore.

D. – Cosa vorrebbe dire per Hong Kong continuare questa protesta?

R. – Hong Kong potrebbe perdere, se continua questa protesta e questa occupazione, la sua diversità di centro di business internazionale che ancora la Cina non è in grado di sostituire. Hong Kong è una piazza insostituibile per la finanza, per gli investimenti, per i flussi di capitali, di persone, di merci. Ha un porto straordinario, una linea aerea che funziona, una borse rigorosa, gli investimenti – soprattutto della Cina continentale – sono a Hong Kong. È evidente che se c’è del disordine, diventa una piazza meno redditizia. Dunque, c’è la volontà di far tornare le cose come prima. Pechino non vuole esempi di autonomia, non vuole perdere il controllo e pensa che qualsiasi cedimento venga interpretato come una prova di debolezza.

D. – L’occupazione di intere aree pubbliche, le barricate nelle zone principali… Diciamo che questa è stata la modalità di protesta messa in atto dai manifestanti, da questi studenti che si sono fatti portatori del vento della democrazia. Una protesta, lei dice, che sta scemando ma che di fatto divide ancora, spacca profondamente la società civile. C’è una parte che la ritiene totalmente inutile…

R. – Una parte la ritiene totalmente inutile, e probabilmente è la parte maggioritaria. Una parte la ritiene anche dannosa, ma è una parte che ragiona più con il portafogli che con la mente, per lo più i lavoratori. Effettivamente, alcune critiche possono essere mosse perché i risultati raggiunti sono stati pochi. Bisogna anche considerare che però era una situazione disperata. Gli studenti ventenni non hanno altri argomenti per attirare l’attenzione pubblica, se non l’impegno e il sacrificio.

D. – Secondo lei, dal punto di vista internazionale, parlo delle grandi potenze, c’era bisogno di un’attenzione maggiore? Si poteva far qualcosa di più…

R. – Ormai, prevale il realismo nelle grandi potenze. Nessuno ha voglia di inimicarsi la Cina per alcuni studenti che protestano a Hong Kong. Penso che nelle cancellerie internazionali sia prevalsa questa idea. Nessuno era pronto a morire o a mettere sanzioni per alcuni studenti di Hong Kong.








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