2014-11-17 13:46:00

Ospedale Bambino Gesù: sempre più vicino a piccoli malati e famiglie


Acquisire tecnologie di ultima generazione per prevenire l'insorgenza del dolore, ridurre al minimo la sua percezione e contenere paura, ansia e stress sia nei piccoli pazienti sia nei loro familiari. Questo l’obiettivo della Campagna di comunicazione sociale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, dal titolo “Progetto Ospedale senza dolore”, lanciata stamani a Roma e destinata a radio, tv e stampa. La presentazione è stata introdotta dal presidente dell'Ospedale, il prof. Giuseppe Profiti. C’era per noi Giada Aquilino:

Quando un bambino si ammala, anche i genitori hanno bisogno di cure. È una Campagna costruita sull’esperienza quella del Bambino Gesù: il progetto “Ospedale senza dolore” punta a effettuare, regolarmente e per tutti i pazienti, la valutazione e il controllo terapeutico del dolore, sia acuto, sia cronico. Ma non solo. Ora la sfida è raccogliere fondi per 1 milione di euro (tutte le informazioni sul sito www.ospedalesenzadolore.it) per tecnologie diagnostiche di ultima generazione, attraverso una nuova Campagna: i protagonisti sono i genitori dei piccoli pazienti, con la testimonianza silenziosa del loro dolore, ma anche della loro presenza. Gli obiettivi, nelle parole del direttore sanitario, il dott. Massimiliano Raponi:

R. - Cercare di dare risalto ad un progetto a cui teniamo molto: l’“Ospedale senza dolore”. L’abbiamo avviato ormai da qualche anno e ha visto negli ultimi tempi la realizzazione di progetti importanti per un diritto dei bambini ed un dovere di un Ospedale pediatrico come il Bambino Gesù.

D. - In particolare a cosa si punta?

R. - Si punta intanto a valutare quella che può essere la percezione del dolore da parte di tutti i bambini che vengono in ospedale, dall’ambulatorio al ricovero ordinario. Dobbiamo chiederci se purtroppo soffrono e se sentono dolore. Poi però bisogna preoccuparsi di qualcos’altro, di prevenirlo. Abbiamo fatto quindi degli interventi di prevenzione, per fare in modo che non venga procurato un dolore al paziente, per esempio nel distacco in sala operatoria. Abbiamo realizzato quindi un progetto - seguendo regole, criteri e protocolli, per ovvi problemi igienico sanitari - che dà ai bambini la possibilità di essere accompagnati in sala operatoria dalla mamma e dal papà. Un altro intervento è stato fatto sull’alta complessità: un ambulatorio dedicato al dolore, quindi alla gestione di esso, per pazienti di alta complessità che purtroppo hanno bisogno di un trattamento terapeutico per poter controllare il dolore fisico. Poi, nell’ambito chirurgico, abbiamo previsto un controllo e quindi una valutazione del dolore a casa, attraverso una semplicissima App che viene installata sul telefonino oppure sul computer e ci permette di poter affrontare con i genitori e con i familiari la gestione del dolore a casa.

D. - Questi sono interventi che avete già iniziato. Adesso puntate a raccogliere un milione di euro per tecnologie avanzate. Di cosa si tratta?

R. - Il futuro sarà sempre più orientato a sviluppare ed applicare con alta tecnologia la gestione del dolore in alcuni ambiti, perché se riesco a fare delle procedure più veloci, oltre che ad avere dell’alta tecnologia che mi permette di aver risposte migliori per l’alta complessità, probabilmente riesco a evitare di fare la narcosi del paziente, quindi l’anestesia piuttosto che la preparazione del paziente alla procedura diagnostica. L’alta tecnologia aiuta tantissimo la Campagna “Ospedale senza dolore”, perché da questa potremmo avere sempre più – in questo caso attraverso la tac - altri tipi di tecnologie che ci possano permettere di prevenire e di fare degli interventi per ridurre il dolore nei bambini.

D. - Adesso si punta ad una nuova tac. Dove e come verrà impiegata?

R. - La nuova tac nell’Ospedale Bambino Gesù di Palidoro ci permetterà di rispondere a diverse esigenze: gestione dell’emergenza, che sulla sede di Palidoro aumenta sempre di più, con oltre 20 mila accessi l’anno, gestione di specialistiche di alta complessità, come la neurologica, a Polidoro abbiamo un importante centro di riabilitazione, poi la parte cardiologica e aritmologica e ancora le specialistiche di otorino e oculistica, ortopedia.

Come opera allora un “Ospedale senza dolore”? La responsabile dell’accoglienza e dei servizi alla famiglia, la dottoressa Lucia Celesti:

R. – E’ una valutazione complessiva di tutto ciò che riguarda il dolore. Il dolore, infatti, non è soltanto un fatto fisico, ma è anche quel disagio, quella paura, quel terrore che accompagnano la permanenza della famiglia in ospedale, soprattutto quando le famiglie si distaccano da posti lontani e arrivano sperdute. Serve accoglienza alloggiativa, avere qualcuno che si occupi di loro, angeli custodi, mediatori culturali, nel caso in cui si è stranieri. Tutto questo fa parte, contribuisce proprio alla cura, è una specie di terapia dell’accoglienza. Noi così la chiamiamo.

D. – Questo perché appunto la sofferenza del bambino poi si ripercuote su tutto il nucleo familiare, su tutta la famiglia. Come stare di fatto accanto al bambino e alla famiglia?

R. – E’ un insieme di terapie integrate, che partono dalla presenza h24 dei genitori con il bambino, anche nelle terapie intensive; dà la possibilità di alloggiare alle famiglie. Per esempio, abbiamo una casa - la Casa delle Cicogne - dove le mamme che hanno i figli in terapia intensiva allattano. E’ proprio un appartamentino, dove possono restare per i primi mesi accanto al bambino. Abbiamo la scuola, la ludoteca, i servizi sociali, le associazioni di volontariato, i servizi per gli stranieri. Insomma, una serie di servizi integrati, tutti volti al benessere dell’intera famiglia. Quando si ammala un bambino, infatti, si ammala tutta la famiglia.

D. – Negli spot della Campagna colpisce il silenzio dei genitori…

R. – Nella mia esperienza ventennale, molto spesso, anzi quasi sempre, non sono le persone che gridano di più quelle che hanno i problemi più gravi. La cosa importante è riuscire ad intercettare la sofferenza e i bisogni anche di chi non dice nulla.

D. – Lei conosce i genitori dei bambini che hanno avuto cure o sono ancora in cura al Bambino Gesù. Cosa le hanno detto? Perché hanno scelto di partecipare alla campagna?

R. – Ci sono moltissime persone straordinarie. Io credo che quello che muove i professionisti e questi genitori sia il capire che l’elaborazione del dolore, la gestione del dolore, oltre che far crescere se stessi, riesce a far crescere gli altri e può produrre effetti benefici a catena su tante altre famiglie, per il futuro.

La mamma di un piccolo paziente, Viviana, colombiana, da 14 anni in Italia, ha aderito alla Campagna:

R. – Ci aiuta a capire anche la sofferenza degli altri, attraverso la nostra, e ci dà una mano ad andare avanti, in tanti modi.

D. – Perché lei è qui?

R. – Io sono qua perché ho un bambino di 8 anni che ha la distrofia muscolare. Viene seguito qui praticamente da quando è nato.

D. – Come viene seguita anche lei, la sua famiglia, accanto al bambino?

R. – Ci aiutano tanto, anche parlando con noi genitori. Ci chiedono come ci troviamo, ci danno una mano per farci stare meglio anche accanto ai bambini. Tutto il personale dell’ospedale è fantastico.

D. – Cosa l’aiuta nel suo percorso?

R. - Mio figlio. Mio figlio, ogni giorno. Perché, con tutto quello che gli manca, l’unica cosa che non gli manca è il sorriso. E lui mi aiuta tanto…








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