2014-11-14 14:46:00

Centrafrica. A un anno dal colpo di Stato regna l'instabilità


A un anno e mezzo dal colpo di Stato nella Repubblica Centrafricana, continuano le manifestazioni del gruppo di ribelli Seleka. Nonostante l’intervento delle forze internazionali avesse costretto la coalizione ad abbandonare il potere, preso con la forza, Seleka non vuole lasciare la capitale Bangui e alimenta la guerra civile. Sull’attuale situazione politica del Centrafrica, Corinna Spirito ha intervistato il prof. Luigi Serra, esperto dell’area africana e docente all’Università di Napoli “L’Orientale”:

R. – La distanza di un anno dal colpo di Stato e l’instaurazione di una sorta di governo di regime che potesse regolare gli affari interni, e in parte anche esterni, del Centrafrica è un tempo apparentemente lungo e foriero di stabilità. In effetti, non lo è stato, perché è stato un compromesso dietro al quale si sono mascherati interessi di parte, compromessi e danni per la gente, per il popolo, pari a quelli del momento in cui la rivolta è scoppiata. All’interno di tutto il meccanismo dei sovvertimenti politici, religiosi ed economici che aggirano la Repubblica Centrafricana, a partire soprattutto dal nord – penso alla Nigeria, penso ad altri siti dove Boko Haram ormai imperversa e dissemina terrore – questa stessa gente si è alimentata sul piano dell’insoddisfazione per i risultati del compromesso di un anno fa con l’insurrezione, l’avversione e ancora il disastro politico in quel Paese.

D. – Il popolo, come ha reagito al colpo di Stato?

R. – Il popolo – in quei luoghi, in quelle culture, in quelle civiltà, in quelle economie – ha reagito come reagisce sempre: con sorpresa e sottomissione, quindi insorgendo e rivoluzionandosi anch’esso rispetto al sistema preesistente, ancorché da solo un anno…

D. – L’Onu come sta gestendo la situazione?

R. – L’Onu sta gestendo la situazione secondo i suoi schemi, quelli di tutela dell’ordine, di anticipazione delle rivolte che non riesce poi a eliminare, con impegno sul campo a tutela della pace e dell’ordine. Ma una tale gestione, programmata in linea di principio, in pratica è risultata vanificata dal colpo di Stato. In sintesi, si può dire che l’Onu, come dappertutto in quelle aree, non interviene con risultati sempre e solo positivi.

D. – Come dovrebbe agire l’Onu per aiutare il popolo della Repubblica Centrafricana?

R. – Dando segnali di volere interloquire soltanto con regimi rappresentati da organi democraticamente individuati. Una qualsiasi rivolta, rivoluzione, colpo di mano a connotazione armata è sempre una mina vagante con cui non si è sicuri, certi e stabilmente sereni sulla continuità del rapporto instaurato. Sono i tassi di democrazia ancora latitanti in quelle aree, a livello di vertici gestionali del potere e a livello di distribuzione alle popolazioni.

D. – Cosa possiamo aspettarci, ora, per il futuro della Repubblica Centrafricana?

R. – Difficile da dirsi. L’auspicio è che si evolva senza uno spargimento di sangue che investa la “povera gente”, cioè il popolo. Si potrà evolvere, evidentemente, con un ulteriore accomodamento, se mai l’Onu riuscirà a fare incontrare le parti. Il popolo potrebbe lanciare segni di una riconferma di un sistema democratico di elezione, quindi di una partecipazione attiva o al rinnovamento tout court, quindi sostituire già in toto con un nuovo momento elettorale il presidente deposto, o invocarne il ritorno. Ma questo, appunto, attiene alla forza dei giochi democratici e a fronte di un potere militare, di una rivoluzione scatenatasi e diventata operante, il rispetto di questi schemi è da tenere in dubbia considerazione.








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