2014-11-14 15:48:00

Alzheimer, si discute al Gemelli di approcci non convenzionali


È in corso, presso il Centro Congressi del Policlinico Gemelli, un convegno su “Alzheimer, un approccio non convenzionale alla malattia”. Organizzato in collaborazione con l’Ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, vede la partecipazione di esperti internazionali per fare il punto sui nuovi approcci diagnostici e terapeutici a questa patologia. Eliana Astorri ha intervistato il professor Paolo Maria Rossini, direttore dell’Istituto di Neurologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma:

R. – Stiamo parlando di una malattia che colpisce il cervello ma, attraverso il cervello, colpisce l’intera persona perché toglie l’identità, la storia al malato. Colpisce, inoltre, la sua intera famiglia e l’intero circuito dei suoi rapporti sociali. Parliamo soprattutto di una malattia che si sta diffondendo sempre di più, perché legata all’invecchiamento della popolazione generale. Oggi, in Italia colpisce oltre 600 mila persone.

D. – Quali sono i sintomi?

R. – I sintomi sono, a elencarli, molto chiari, ma a rilevarli molto subdoli perché sono delle mancanze di memoria progressive sempre più problematiche, problemi a orientarsi nello spazio conosciuto – ad esempio, riconoscere le strade, percorsi che normalmente si fanno a piedi – difficoltà a reperire le parole giuste e a completare delle frasi un po’ complesse. Questa cosa poi va avanti fino alla comparsa dei disturbi del comportamento: aggressività, irritabilità, disturbi del suono, fino a compromettere completamente quelle che sono le autonomie quotidiane della persona nella sua igiene, vestirsi, spogliarsi, gestire l’amministrazione di famiglia, il lavoro i rapporti sociali.

D. – L’Alzheimer è una malattia tipica di una fascia d’età avanzata. Ma ci sono casi di persone giovani?

R. – In realtà, la prima donna descritta ed incontrata da Alzheimer – da cui poi la malattia ha preso il nome – aveva 49 anni e i sintomi erano già comparsi da un paio d’anni. Quindi, parliamo sempre di terza età, perché la malattia cresce man mano che cresce l’età della popolazione generale. Però, sicuramente sono presenti anche casi di 50.enni o addirittura di 40.enni e – nelle forme familiari quelle più aggressive che, grazie a Dio, sono però molto poche – la forma può anche esordire in età più giovanile.

D. – Quindi, la familiarità è un fattore di rischio, un fattore predisponente?

R. – I fattori di rischio sono tanti. Questa è sicuramente una malattia multifattoriale. Il rame di cui si parla oggi è sicuramente uno dei tanti fattori, ma certamente non l’unico. È chiaro che se all’interno di una famiglia di una persona che non è ammalata ci sono però due, tre, quattro casi in generazioni successive, questo deve suonare come un campanello, non dico di allarme, ma di attenzione maggiore a seguire, ad approfondire l’eventuale comparsa dei sintomi. Purtroppo, talvolta, questa cosa non è nota perché se una persona, se un padre, se una madre, se un nonno, una nonna sono morti giovani non sapremo mai se poi, con il passare degli anni, avrebbero o meno sviluppato questa malattia.

D. – Oggi, come si cura l’Alzheimer? Come si rallenta più che altro?

R. – La cura in grado di modificare la malattia purtroppo ancora non esiste. L’iniziativa di questa giornata è un po’ legata anche alle delusioni degli ultimi anni. Tutti veniamo da cocenti delusioni di “trial” chimici tentati negli ultimi 10-15 anni, falliti miseramente l’uno dopo l’altro. Si vocifera ci vorranno almeno un’altra decina di anni ancora per avere la cura, quella risolutiva. Nel frattempo, bisogna andare a cercare soluzioni-tampone, come diceva lei, in grado almeno di rallentare la malattia e quindi allungare il più possibile il tempo di autonomia dei nostri malati nel loro vivere quotidiano anche perché, circa nell’85% dei casi, il problema ricade poi sulla famiglia con dei costi indiretti altissimi per tutti. Come si cura? Come si rallenta? Sicuramente, ci sono alcuni approcci farmacologici da una parte – con i farmaci oggi a disposizione: gli anticolinesterasici, la memantina – sicuramente con quella che è sia la ginnastica fisica, perché aiuta a ossigenare meglio il sangue e quindi a nutrire la parte di cervello ancora non colpita, ma sicuramente anche la ginnastica cognitiva, quindi gli esercizi che stimolano le varie attività, i vari domini cognitivi dell’intelligenza del cervello magari, appunto, combinati con approcci un po’ più nuovi. Oggi, ne presentiamo alcuni: in particolare, il dosaggio del rame libero nel sangue, un test eseguibile oramai con banale prelievo e, laddove questo test dovesse risultare significativamente alterato, l’adozione di misure di correzione, quali una dieta povera di rame e, se questo non bastasse, l’assunzione di sostanze che legano il rame in eccesso e lo eliminano dall’organismo.








All the contents on this site are copyrighted ©.