2014-11-13 15:05:00

Vertice Asean in Birmania. Obama: il Paese lavori sulle riforme


In Birmania, c’è ancora da lavorare sulle riforme. Il suggerimento è del presidente Usa, Barak Obama, da oggi a Naypyidaw, capitale birmana, per il 25.mo vertice dell’Asean, le nazioni del Sudest asiatico e dell’Asia orientale di cui la Birmania ha la presidenza di turno. Nel Paese, si ritrovano alcuni tra i maggiori leader mondiali, tra i quali anche Obama che stasera incontrerà in un faccia a faccia il presidente Thein Sein, e domani la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi. Cosa significa questo vertice in un Paese come la Birmania? Francesca Sabatinelli ha intervistato Cecilia Brighi, dell’associazione ‘Italia-Birmania insieme’:

R. – E’ un fatto storico, perché la Birmania, dal 2011, ha cambiato il proprio assetto istituzionale passando da una dittatura militare a un governo semi-civile dove, sebbene il grosso peso ce l’abbiano ancora i militari, però c’è un parlamento eletto. E Aung San Suu Kyi è potuta entrare nel parlamento birmano. Ma questo passaggio, che è un passaggio molto importante, è ancora a metà perché molte cose sono sì cambiate, ma ci sono tantissimi buchi neri e tantissimi ostacoli ancora verso il percorso di una democrazia compiuta in quel Paese. Il vertice, in qualche modo, sancisce l’impossibilità per questo Paese di tornare indietro a una dittatura, però crea ulteriori aspettative dei governi e delle istituzioni internazionali.

D. – Sulle mancate aspettative è intervenuto Barack Obama, che ha sottolineato come ci sia stato un rallentamento di riforme, se non addirittura passi indietro, e che ha poi elencato le restrizioni imposte ai prigionieri politici, l’arresto dei giornalisti, citando tra l’altro l’uccisione recente  di un giornalista…

R. – Sì, da parte della polizia. E ovviamente Obama ha espresso la sua preoccupazione per questa transizione a metà. Infatti, l’anno prossimo, fine 2015, ci dovrebbero essere le elezioni politiche ma ancora c’è grande incertezza sul percorso. C’è una libertà che ha dato spazio anche alle proteste dei contadini, dei lavoratori, per le condizioni di vita e di lavoro, pero c’è il fatto che c’è ancora una fortissima corruzione nelle istituzioni pubbliche e in alcune aree del Paese stanno crescendo conflitti etnico-religiosi, spesso alimentati dall’esercito, per dire: attenzione noi ancora oggi siamo un elemento importante di stabilità del Paese.

D. – Uno dei punti sui quali le autorità birmane sono senz’altro chiamate a dare risposte è il rispetto dei diritti umani delle minoranze. Sappiamo che la questione sensibile è quello della minoranza musulmana dei Rohingya…

R. – Questo è uno dei punti più problematici sul piano politico, perché la minoranza musulmana Rohingya ha subito una forte repressione nel corso degli ultimi due anni, con morti, incendi di villaggi (ad opera di elementi buddisti n.d.r.) e con una certa acquiescenza delle autorità locali, un grande silenzio del governo. Quindi, è un elemento di forte critica da parte delle Nazioni Unite, di altre istituzioni internazionali, perché anche nel recente censimento questa etnia dei Rohingya non è stata inclusa, sono privi di cittadinanza. Quindi, si tratta veramente di una situazione molto complicata, che alimenta una tensione etnico-religiosa anche in altre aree del Paese.

D. – Domani, Obama incontrerà Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione che nei giorni scorsi non ha mancato di indirizzare una battuta sarcastica verso la Casa Bianca, considerandola un po’ troppo ottimista nei confronti di quelli che saranno veramente i passi riformatori del governo birmano…

R.  – Ovviamente, dentro l’Asean e nei confronti della Birmania gioca tutta una serie di  altri interessi più ampi, come il ruolo degli Stati Uniti in Asia e in Birmania rispetto al ruolo giocato dalla Cina negli ultimi 20 anni, con uno stretto rapporto con la giunta militare, per interessi anche economici. Poi, ci sono gli interessi geopolitici: la Cina è molto presente nel Mar delle Andamane, sta costruendo un enorme gasdotto che arriva in Cina. E quindi è chiaro che l’America non vuole essere scalzata in quell’area lì dal governo cinese. Ovviamente, getta - per così dire - "il cuore oltre l’ostacolo" sperando che la situazione cambi. Anche se Obama non è stato tenero, né quando è andato a Pechino col governo cinese, né nei confronti della giunta militare a cui chiede il rispetto dello Stato di diritto, la promozione dei diritti umani. Quindi la critica è giusta, però è anche vero che il governo americano investe molto in termini di cooperazione internazionale per la promozione dei diritti umani e quindi vediamo cosa ne esce da questo dialogo.








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