Prima di essere un rappresentante diplomatico del Papa sono un sacerdote. Si presenta così il neo segretario per i Rapporti con gli Stati, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, che tra qualche settimana inizierà la sua nuova missione in Vaticano, dopo aver girato le nunziature di tutti i continenti, l’ultima in Australia. Al microfono di Emer McCarthy, mons. Gallagher parla della sua esperienza e del contributo che la diplomazia della Santa Sede può offrire alla comunità internazionale:
R. – Well, you know it is...
Quando giri il mondo e le nunziature, in veste di
sacerdote o di nunzio che sia, in ogni Paese riconosci il microcosmo del mondo. Molti
dei problemi che il mondo sta affrontando sono connessi tra loro. Certamente, abbiamo
adesso grandissimi problemi in termini di sviluppo delle persone e delle società,
le loro aspirazioni, dove stanno andando… Abbiamo un certo numero di conflitti che
nascono a causa della povertà e del sottosviluppo… Il mondo si sta impoverendo sempre
più. Dunque, la gente vede deluse le proprie ambizioni e questo porta le persone a
situazioni disperate.
D. – Quanto è importante mantenere i legami tra la Chiesa cattolica e i governi del mondo? I critici potrebbero dire: “Voi rappresentate una religione, non avete bisogno di mantenere relazioni politico-diplomatiche”…
R. – It’s a question of History...
E’ una questione storica, ci siamo evoluti così. Nella
mia esperienza, ho riscontrato veramente una minima ostilità verso la Santa Sede in
quanto entità. Piuttosto, si riconosce in essa un grande valore. Si riconosce anche
che lavoriamo e diamo un contributo ovviamente fondato sulla nostra fede, ma anche
nell’esperienza e nella storia della nostra Chiesa.
D. – Chi è stato per lei di maggiore ispirazione in questo servizio che l’ha portata in giro per il mondo e che adesso la riporta a Roma?
R. – Well, I’ve always been very inspired by…
Mi hanno molto ispirato le tante persone con cui ho
lavorato, i nunzi che ho servito negli anni passati… Ovviamente, quando poi sono andato
in Burundi, nel 2004, sono succeduto all’arcivescovo Michael Courtney, che era stato
assassinato. Succedere a un uomo che aveva compiuto il sacrificio supremo è stato
davvero molto importante. Sono anche stato molto incoraggiato da tante delle persone
con cui ho lavorato in Segreteria di Stato. Incontri, occasionalmente, anche con dei
“carrieristi”, ma devo dire che la maggior parte delle persone con cui ho lavorato
aveva motivazioni veramente molto alte. Ecco perché sono sempre convinto che sia un
ministero e un contributo molto valido. Non sono proprio sicuro che fare il diplomatico
pontificio sia una vocazione, perché credo ci si debba impegnare molto a preservare
gelosamente la vocazione sacerdotale in mezzo a tutto questo, se vuoi fare qualcosa
di veramente positivo. Certamente, però, è una chiamata all’interno della Chiesa che
penso sia ancora molto valida e possa dare un grande contributo alla Chiesa in termini
di comunicazione e di rappresentanza, perché “spiega” le Chiese locali a Roma e Roma
alle Chiese locali.
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