2014-11-09 14:36:00

Muro di Berlino. Geninazzi: la libertà è sempre non violenta


Uno dei testimoni oculari di ciò che accadde nel 1989 a Berlino, anche nei giorni successivi alla caduta del Muro, fu il giornalista Luigi Geninazzi. Inviato per il quotidiano “Avvenire” ha sempre rivolto molta attenzione all’Europa dell’Est, vivendo da protagonista i principali eventi di quegli anni nei Paesi Oltrecortina, raccolti poi nel volume “L’Atlantide Rossa”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R.  – Mi recai a Berlino subito, la mattina dopo quel 9 novembre. Alla sera, già tardi, arrivavano le notizie di queste migliaia di persone che ebbre di felicità attraversavano il muro, i “Vopos” non opponevano resistenze. Quindi, la mattina dopo, mi sono trovato immerso in una festa incredibile, gente che si abbracciava anche senza conoscersi, Berlino ovest intasata dalle “Trabant”, la macchina prodotta nella DDR,  “un caos meraviglioso” come titolarono i giornali, che contraddiceva un po’ lo stereotipo del tedesco freddo, compassato. E l’immagine più bella che ho sempre in mente è questa: a uno di questi valichi, finalmente aperti dopo mezzo secolo di impenetrabile chiusura, un bambino a cavalcioni sulle spalle del padre che ha guardato il cielo appena passata la frontiera, appena passato il Muro, come se il cielo dovesse avere un colore diverso da quello che aveva all’est. E’ l’immagine più bella di un popolo intero che ha riacciuffato la libertà.

D.  – Ricordiamo che fu un giornalista dell’Ansa che con una domanda fece capire ciò che sarebbe accaduto di lì a poche ore senza che fino ad allora ci fossero i segnali…

R.  – Per la cronaca fu Riccardo Ehrman, un mio carissimo amico, giornalista noto a tutti perché molto pignolo. E in quella conferenza stampa Gunter Schabowski, il portavoce della Sed, il partito comunista della Germania Est, aveva presentato un confuso progetto per semplificare le domande di visto per andare all’estero. L’annuncio era che adesso si poteva andare in Occidente con più facilità. Ehrman chiese quando le misure sarebbero entrate in vigore e Schabowski, nella confusione in cui vivevano i vertici comunisti della Germania Est, disse: “Da subito”. La gente, che guardava la televisione, incuriosita si chiede: “Come da subito? Andiamo a vedere”. E si avvicinò a quella frontiera. E così è cominciata la fuga. Questa festa incredibile, inaspettata, è entrata nella leggenda e ha fatto dimenticare un po’ che il comunismo non è caduto in una notte, è caduto perché per tanti anni, tanta gente, a cominciare dai polacchi, dai cecoslovacchi, e così via, ha combattuto in modo dignitoso e senza violenza questi regimi.

D. – Quel Muro è stato oltrepassato da migliaia di persone e in tantissimi hanno perso la vita…

R. – Sono centinaia i caduti nel tentativo di attraversare il Muro, nei modi anche più rocamboleschi. Io ricordo che, subito dopo l’apertura del Muro, andai a intervistare la madre di Peter Fechter, uno dei primi caduti, forse il primo, nel senso che il Muro era già stato costruito e Peter Fechter era un giovane soldato di 18 anni, la madre ancora mi diceva che secondo lei non voleva scappare, ma questo perché voleva negare la realtà. In realtà, Peter Fechter è stato il primo a poter scappare dal Muro appena costruito e i Volpos, le guardie di frontiera, lo hanno ucciso. La cosa più tragica è che l’hanno lasciato agonizzante per ore nella cosiddetta “fascia della morte”, cioè la terra di nessuno, tra l’Est e l’Ovest, dove quelli dell’Ovest non potevano intervenire e quelli dell’Est non hanno voluto intervenire. Dobbiamo ricordare queste cose perché la libertà è stato il frutto di una lunga lotta e tanti ci hanno perso la vita.

D. – La fine dell’allora contrapposizione tra Est e Ovest, da una parte, sì, ha permesso la riconquista  di diritti fondamentali, però non è che abbia portato soltanto aspetti positivi…

R. - Io distinguerei due cose. C’è stata una certa mitologia legata a questo grande evento storico: dato che i regimi comunisti sono caduti in modo così spettacolare, come appunto il 9 novembre dell’89, la democrazia ormai ha trionfato nel mondo, e questa è la tesi del politologo americano Fukuyama, con la “Fine della storia”. Certo, ci sarebbero state crisi, contrasti, anche conflitti, ma il grande conflitto fra lo spirito della libertà e lo spirito dell’oppressione, il totalitarismo, non ci sarebbe più stato. Una previsione assolutamente  sbagliata. Proprio in questo 2014, come ha detto Papa Francesco, assistiamo a una terza guerra mondiale fatta a pezzi. Vediamo guerra all’Est, nell’Ucraina orientale, vediamo il risorgere addirittura del terrorismo islamico nella sua forma più crudele con lo Stato islamico, vediamo incertezza, confusione per la crisi non solo economica ma anche etica dell’Occidente. Quindi, è chiaro che quell’idea era sbagliata. Però, vorrei dire una seconda cosa: l’89 non è stato questo mito e questa libertà scoppiata all’improvviso. L’89 è stato la vittoria dei movimenti non violenti, ispirati dalla fede cristiana, in gran parte, sostenuti da un Papa come Giovanni Paolo II. Ed è questa cosa che oggi non è caduta ed è questa cosa che dobbiamo tenere dell’89: non l’illusione di una libertà che sarebbe dilagata in tutto il mondo – è falso – ma piuttosto la lezione che per conquistare la libertà, ancora oggi, occorre una coscienza morale, soprattutto un metodo basato sulla non violenza.








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