2014-11-06 12:22:00

Accordo nel Burkina Faso per un governo di transizione


Accordo nel Burkina Faso per un governo di transizione, che entro un anno organizzi elezioni politiche e legislative, dopo l’uscita di scena dell’ex presidente Compaoré per 27 anni alla guida del Paese africano. Le intese vanno nella direzione auspicata dai vescovi locali. Nel messaggio del 4 novembre scorso, i presuli hanno chiesto agli attori della scena politica di mettere al riparo il Paese da conseguenze deplorabili, tenendo conto delle aspirazioni del popolo e delle esigenze della comunità internazionale. Ma per capire i passaggi importanti da fare per la fase di transizione, Fausta Speranza ha intervistato l’africanista Anna Bono dell’Università di Torino:

R. - Secondo la Costituzione, entro 90 giorni si dovrebbe andare alle elezioni e si parla di una transizione relativamente rapida, cioè entro 12 mesi. La situazione, però - come si può capire - è molto fluida. All’interno stesso delle forze militari, che hanno approfittato della rivolta popolare per prendere il potere, ci sono contrasti, ci sono problemi di detenzione del potere; e quindi ci sono punti interrogativi per i quali, per il momento, non c’è risposta.

D. - Quanto è importante che venga al più presto ripristinato il rispetto della Costituzione?

R. - Sarebbe l’elemento prioritario, tanto più in un Paese che ha margini di sopportazione di una crisi istituzionale limitatissimi. Il Burkina è uno dei Paesi più poveri del mondo. Una delle tante conseguenze è che c’è una popolazione giovanile frustrata, senza prospettive, senza lavoro soprattutto, che può diventare un’arma in mano a leader irresponsabili. Più passa il tempo, più si ritarda un ritorno alla normalità, all’istituzione democratica, alla legalità e più il rischio di una degenerazione della situazione aumenta; come ci insegnano tanti altri esempi, purtroppo, nel Continente africano.

D. - Che cosa dire del contesto geopolitico?

R. - Soprattutto, vorrei sottolineare che quello che è successo in queste settimane in Burkina Faso è una realtà che si è già verificata in altri Paesi, e in altri ancora si sta prefigurando. Voglio dire: la crisi è nata dal fatto che il presidente - in carica ormai da 27 anni - non potendo legalmente ripresentarsi per la terza volta e candidarsi alla carica presidenziale, stava cercando di far modificare la Costituzione per abolire l’articolo di legge che limita a due i mandati presidenziali. Questo è già stato fatto da numerosi suoi colleghi in altri Paesi, e in questo momento altri leader stanno cercando di farlo: il presidente Kabila in Congo, il presidente Museveni in Uganda. Come in Burkina Faso, in altri Paesi è già successo e continuerà a succedere, che alcune leadership, che non accettano di rimettere in discussione o di rinunciare al potere, cercano di violare le regole democratiche per superare l’ostacolo; e questo è un problema ricorrente e gravissimo.

D. - C’è qualcosa che l’Unione africana può fare di fronte a questa situazione?

R. - L’Unione africana ha un compito molto preciso, al quale talvolta assolve: quello di sospendere il Paese che ha violato e ha sospeso regole e istituzioni democratiche. Non che questo rappresenti un grande strumento nelle mani di chi compie un colpo di Stato, però, al di là di questo - cioè, sospendere il Paese dall’organizzazione panafricana - ci sono forme di pressione ben più concrete che possono esercitare, attraverso l’Unione africana, gli Stati membri: sanzioni economiche, pressioni politiche e via dicendo… Vedremo nei prossimi giorni, nelle prossime settimane se questo verrà fatto e se sarà efficace, come c’è da sperare.








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