2014-10-31 13:59:00

Terni. Bregantini: governo capisca disagio operai, sindacato non si chiuda


Continua a crescere in Italia la disoccupazione: secondo l’Istat, sono senza lavoro quasi il 43% dei giovani. Intanto, a Terni proseguono lo sciopero e i presìdi degli operai dell’Ast davanti alle Acciaierie. Giovedì riparte la trattativa tra le parti. Il clima è di alta tensione e nervosismo dopo gli scontri dell’altro ieri a Roma. Luca Collodi ne ha parlato con mons. Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione Cei per le questioni sociali e il lavoro:

R. - È molto vero. Un nervosismo che a tratti diventa rabbia, anche perché l’episodio dell’altro ieri ha creato quasi una barriera tra le esigenze legittime del mondo del lavoro, esasperato da questi numeri tremendi di licenziamenti, con la realtà governativa che non si è fatta capace di capire ed interpretare. Questo è il nodo maggiore. Al di là dei manganelli, il problema resta il cuore che deve saper capire, interpretare, leggere questo disagio e questa rabbia che c’è dentro.

D. - Di fatto, oggi, tutelare i lavoratori è sempre più difficile …

R. - Questo sì, ma non solo per la politica, ma anche perché le problematiche mondiali sono di recessione, perché l’Europa è chiusa ancora in un guscio di difesa, perché il mondo sindacale è incerto, e a tratti difensivo di sé stesso, perché anche la quotidianità è carente di speranza. Ed è questa la vera sfida relativa anche al discorso ecclesiale. Anche noi abbiamo le nostre gravissime carenze, poiché non abituiamo più i nostri fedeli a rischiare, a guardare al domani, a investire, invece che tenere i pochi soldi che abbiamo alla posta o in qualche azione bancaria. Occorre investire di più. C’è un insieme di corresponsabili, tra cui anche la nostra poca forza nella proposta cristiana.

D. - Oggi questo dialogo non facile tra il sindacato e il maggior partito della sinistra può creare maggiori problemi ai lavoratori?

R. - Moltissimi. È una delle cose che vanno assolutamente superate. E va superata con un dialogo di grande responsabilità e di forte riflessione culturale. A mio giudizio il sindacato deve avere la capacità di guardare oltre le realtà antiche, oltre l’Articolo 18, oltre tutta una serie di situazioni. È chiaro che anche il governo non può correre senza sindacato, non può far finta di ignorarlo. Quindi anche nei toni, nelle modalità, non deve essere offensivo o escludente. La logica dello scarto, in questo momento, comprende la politica, la cultura ma anche la realtà del mondo sindacale.

D. - Gli imprenditori sono disponibili a creare le condizioni per superare questa crisi e a tutelare i lavoratori?

R. - Lo sono, ma anche loro hanno bisogno di maggiore condivisione. Non si può gettare su di loro eccessiva responsabilità, però nemmeno loro non possono scaricarla sul mondo sindacale. Un invito a non delocalizzare, a mantenere collegato il legame tra industria e lavoro, lavoro e territorio. Ecco perché bisogna guardare con certa fatica anche certe scelte di grandi gruppi industriali che portano il loro desk in Belgio o in Gran Bretagna. Bisogna essere molto afferrati e rimanere fedelmente vincolati a questa nostra terra, anche perché una fedeltà al territorio non significa non mantenere lo sguardo al mondo.

“Il profitto e l’impresa - afferma il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini - hanno attivato negli ultimi anni nella società una competizione tra persone mai vista. Non è questo il modello sociale che vogliamo”. Luca Collodi lo ha intervistato, chiedendogli anzitutto se il sindacato ha capito quello che è realmente successo in piazza a Roma, durante la manifestazione degli operai dell’Ast:

R. - Cosa è successo e perché è successo, non lo abbiamo capito! C’è stata una aggressione a freddo. Quindi vuol dire che i lavoratori della Polizia, che erano lì, hanno ricevuto ordini sbagliati: perché caricare lavoratori e persone che si stanno battendo per difendere il loro lavoro, in modo democratico, è una cosa inaccettabile e contro i principi della nostra Costituzione. Credo che sia importante che, negli incontri con il governo e con il ministro, ci sia l’impegno affinché non succedano mai più episodi del genere. Perché davvero è inaccettabile che, chi per vivere deve lavorare, quando difende il proprio lavoro e i propri diritti, si trovi bastonato e malmenato.

D. - La sensazione è che in Italia ci sia molto nervosismo, soprattutto nelle periferie del Paese. La politica non sembra più ascoltare i territori e dare risposte…

R. - Penso che ci sia proprio una lontananza grandissima! Non solo non sa ascoltare, ma in alcuni casi non c’è proprio! Non sa cosa stia succedendo e vive in mondi separati: questo è il problema vero. E la sofferenza oggi è grandissima, perché non solo chi lavora non è in grado di vivere con il lavoro che fa ed è povero pur lavorando, ma oggi siamo di fronte a disoccupazione, siamo di fronte a chiusure di aziende e quindi siamo davvero in una fase delicatissima. La cosa vera e grave è che le persone, in molti casi, si sentono da sole. E’ chiaro che per affrontare questi temi ci vogliono diverse politiche economiche e sociali. Non c’è niente da fare: la ridistribuzione della ricchezza va affrontata e bisogna far ripartire gli investimenti pubblici e privati, e - nello stesso tempo - bisogna incentivare la riduzione degli orari e la redistribuzione del lavoro che c’è; bisogna, in questo caso, anche colpire quella corruzione e quell’evasione fiscale, che ci sta creando tanti problemi e che è fonte delle grandissime disuguaglianze che si sono prodotte.

D. - La perdita di sovranità del Paese può creare un problema per il mondo del lavoro e la tutela dei lavoratori?

R. - Eh si! Ma qui c’è un tema che va affrontato: si è costruito l’euro, la moneta, ma non si è costruita l’Europa. Oggi noi siamo di fronte al fatto che c’è una logica troppo finanziaria, troppo economica che sta gestendo la politica. La crisi degli Stati, la crisi dei governi, secondo me, nasce anche da questo fatto e cioè che mentre i soldi, il capitale, possono tranquillamente circolare in giro per il mondo sena vincoli, senza freni, addirittura può andare a trovare i paradisi fiscali dove può pagare meno, siamo alla follia che le persone sono clandestine.

D. - Come ha accolto le recenti parole di Papa Francesco che ha definito il lavoro ‘un diritto’?

R. - Sono completamente d’accordo! Debbo essere molto sincero: ascolto sempre e con molta attenzione le parole di un Papa che mette sempre al centro la persona, che non ha paura di denunciare le disuguaglianze e a tentare di rimettere al centro la persona. Quindi credo che sia un messaggio molto forte! Credo questo sia assolutamente vero, perché un lavoro senza diritti, vuol dire schiavitù.

D. - Cosa significa, per il mondo del lavoro, lo scontro in atto tra il sindacato e il maggiore partito della sinistra, il Pd?

R. - Da un certo punto di vista io credo sia importante che il sindacato costruisca una propria autonomia, una propria indipendenza. Detto questo, io mi limito ad osservare che all’interno di quel partito, che è il partito maggiore del nostro Paese, c’è oggi una discussione molto forte, ci sono punti di vista diversi che si stanno confrontando. Ho massimo rispetto del dibattito interno al Pd e penso che decideranno. Ma non credo che i problemi, in una fase di questa natura, sia quella di dividersi. Penso che sia il momento dell’unità del Paese. Il lavoro, però, deve tornare ad essere un momento di rappresentanza politica. In politica oggi nessuno si pone più il problema di rappresentare gli interessi delle persone che per vivere devono lavorare. Ma il nostro problema, da sindacato, non è quello di confrontarsi con un partito. Il nostro problema è confrontarci con il governo e chiedere che il governo cambi le politiche che sta facendo. Ripeto. Quello che vedo è che nella politica nessuno si pone più il problema di rappresentare gli interessi delle persone che per vivere debbono lavorare e che sono la maggioranza del Paese e del mondo.








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