2014-10-30 14:47:00

Fed: dopo 6 anni stop ad aiuti economia americana


Con la fine di ottobre, l’economia americana volta pagina. Infatti, come ampiamente annunciato, la Federal Reserve (Banca centrale Usa) ha posto fine ad una politica di "aiuti a pioggia" e acquisto di asset, durata sei anni per un valore totale di quasi 4 mila miliardi di dollari. Una scelta che fa riflettere sui risultati effettivi ma anche sui rischi di politiche simili che anche l’Europa sta valutando. Gabriella Ceraso ha chiesto il parere di Emilio Colombo, docente di Economia Internazionale all’Università di Milano Bicocca:

R. – Probabilmente dovremo ancora attendere un poco, per analizzare più a mente fredda gli effetti della politica della Fed. Il fatto stesso che abbia deciso di interrompere questoQuantitative Easingci dice che la Fed ritiene che ormai l’economia americana abbia passato la fase più negativa e quindi sia avviata verso una ripresa che sembra consolidarsi. Quindi, da questo punto di vista, è una buona notizia, perché ci dice che le cose sono in chiaro miglioramento.

D. – Ma sono effettivamente in chiaro miglioramento? Perché sembra che i dati siano leggermente migliori e l’inflazione resti ancora molto, molto bassa, e proprio i dati dell’occupazione non siano così incoraggianti. Non è che è "freniamo" perché un’immissione continua di denaro non può essere la soluzione definitiva?

R. – Questo senz’altro, nel senso che bisogna ricordare che queste misure sono misure straordinarie, perché stiamo vivendo un periodo straordinario. La crisi che ha colpito l’economia mondiale, dal 2008 ad oggi, è una crisi senza precedenti. Di fatto, quindi, le banche centrali sotto questo profilo stanno navigando a vista. Senz’altro sono consapevoli del fatto che ci possano essere dei rischi. E’ evidente che, con una immissione così massiccia e continua di liquidità nei mercati, ci sia sempre il rischio che si possano creare delle bolle. D’altro canto, c’è la decisa volontà di tenere la struttura dei tassi il più possibile prossima allo zero. Questo spiega per quale motivo queste politiche sono continuate fino ad oggi. Ora, il fatto che la Fed abbia deciso di interrompere il processo di acquisto dei titoli, significa che evidentemente ritiene l’economia in una fase di ripresa, anche se debole, e a questo punto i rischi connessi al perdurare di questa politica sarebbero evidentemente superiori ai possibili benefici.

D. – C’è chi come Alan Greenspan, l’ex presidente della Fed, ha detto: “Questo piano non ha centrato i suoi obiettivi, perché non ha funzionato nello stimolare la domanda dell’economia reale”. Come dire che stampare soldi non risolve il problema dell’economia reale?

R. – Con il senno di poi è facile dire che una politica poteva essere fatta in maniera diversa. In realtà, mettendosi nei panni di Bernanke nel 2008, quando ha preso queste prime decisioni, al tempo era la migliore decisione da prendere, al punto che è stata poi seguita dalla Bank of Japan e anche dalla Bank of England. E se guardiamo quello che sta accadendo in Europa, tutti chiedono alla Bce di fare quello che ha fatto la Fed.     

D. – Lei ha parlato di un rischio di "bolle finanziarie". Pensiamo però anche al fatto che una politica del genere faccia esplodere il debito pubblico, è quanto sta accadendo in Giappone...

R. – Sì, il debito pubblico sarà il problema dei Paesi avanzati nei prossimi venti anni. La vera sfida, da oggi e nei prossimi anni, sarà come rientrare da questa cosa. Bisogna trovare le risorse per farlo, in un contesto di scarsa crescita globale. Bisogna lavorare, dunque, su più fronti. La politica monetaria è senz’altro un tema. Poi c’è il compito dei governi: dare maggiore efficienza al sistema pubblico, in modo che possa ridurre il fabbisogno, e quindi il debito, e al tempo stesso dare stimolo alla crescita.








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