2014-10-15 11:54:00

Cremona ricorda il vescovo Geremia Bonomelli a 100 anni dalla morte


Una serie di convegni vogliono ricordare in questi giorni, nel centenario della morte, mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona dal 1871 fino alla sua scomparsa, il 3 agosto 1914. Un vescovo sensibile alla formazione dei sacerdoti ma anche alle questioni sociali, come l'emigrazione e la povertà. Particolare il suo ruolo nel dialogo tra Chiesa e Stato italiano durante gli anni della Questione Romana. Martina Boccalini ne ha parlato con il vescovo di Cremona, mons. Dante Lafranconi:

R. – Certamente, è stata una figura di spicco nell’episcopato italiano, nel 1800. E’ diventato vescovo nel 1871 ed è morto nel 1914 e in questi oltre 40 anni di episcopato fu sempre vescovo di Cremona. Mons. Bonomelli è soprattutto ricordato per la sua posizione riguardo alla Questione Romana, perché era una posizione “conciliatorista”, in un certo senso. Ci sono anche altri aspetti molto interessanti, come possono essere quello della sua attenzione, della sua preoccupazione verso l’educazione alla fede e poi della sua attenzione ai migranti. E’ una figura, quindi, certamente di spicco per la sua cultura e per la sua presenza pastorale.

D. – E’ stato, quindi, un pioniere del dialogo tra Chiesa e Stato. Qual è stato esattamente il suo contributo?

R. – Il suo contributo è stato quello di auspicare la soluzione della controversia tra Chiesa e Stato italiano, dopo la Breccia di Porta Pia, favorendo in qualche maniera una soluzione, nella sua posizione innovativa, che non era soltanto sua. Certamente tra la corrente più intransigente e quella invece “conciliatorista”, Bonomelli è stato per questa seconda prospettiva. Se uno pensa al suo impegno educativo proprio della comunità cristiana, dei cristiani, era molto esigente, molto rigoroso e in questa prospettiva – direi – non si discostava dalla tradizione. Interviene per esempio nel mettere in evidenza in maniera molto rimarcata come il pericolo più grosso sia quello dell’indifferenza religiosa, che poi travalica in una indifferenza più ampia. Certamente, sotto questo profilo, è stato innovativo per tentare anche un rapporto di conciliazione sia con la cultura del tempo sia con il cammino scientifico, con un taglio, però, che insisteva molto sulla formazione cristiana della coscienza.

D. – Il suo più grande contributo è stato sicuramente l’attenzione alla questione degli emigranti e della povertà. Com’è riuscito mons. Bonomelli ad aiutare queste persone in difficoltà?

R. – In rapporto alla questione degli emigranti, inizialmente è partito pensando a coloro che emigravano soprattutto nelle Americhe. La sua sensibilità nacque dal fatto che veniva a conoscere dalle lettere che gli emigrati in America mandavano alle loro famiglie, questo loro sentirsi abbandonati sotto il profilo dell’accompagnamento religioso. Poi si rese conto, in un secondo momento, che il problema delle emigrazioni non riguardava solo coloro che andavano in America, ma anche coloro che andavano nel Nord Europa. E qui si ebbe una differenziazione tra Scalabrini e l’idea invece di mons. Bonomelli, che era quella di mandare dei preti italiani accanto agli operai. E’ così che sono nate poi le missioni all’estero. 

 








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