2014-10-13 18:44:00

Si combatte a Kobane. Turchia: no a basi militari per la coalizione


“Stati Uniti e Gran Bretagna non vogliono sconfiggere lo Stato islamico ma creare divisioni all’interno dell’Islam”. E’ duro l’attacco della guida suprema iraniana l’ayatollah Ali Khamenei, davanti allo stallo dei raid della coalizione internazionale contro le postazioni dei miliziani dell’Is in Siria e Iraq. Se aumenta il pericolo di un accerchiamento jihadista su Baghdad, la battaglia si concentra ancora nell’enclave curda siriana di Kobane e un nuovo grido di allarme arriva intanto dall’ostaggio britannico John Cantlie, che in video dice: “Aspetto il mio turno". Il servizio di Gabriella Ceraso:

L’offensiva su Kobane che dura da settimane è ormai arrivata vicinissima al confine con la Turchia. Qui gli scontri tra i combattenti curdi e jihadisti del sedicente Stato Islamico, rischiano di tagliare l’accesso alla citta' curda, per metà controllata degli estremisti, e bloccare le vie di fuga per i profughi verso la Turchia. Non basta, a quanto pare, il supporto della coalizione che in 36 ore ha condotto almeno 23 raid fino all’area di Raqqa roccaforte dei jihadisti, e che non riesce a mitigare secondo le Ong, l’emergenza umanitaria né le razzie degli estremisti su bambini e donne presi come bottino di guerra. E Ankara resta ancora a guardare. Aumenta la sua presenza militare al confine, ma non interviene e anzi nega quanto affermato in mattinata da Washington e cioè il proprio assenso all’uso di basi militari del sud da parte dei caccia della coalizione a meno che non si accettino le proprie condizioni, in primis la creazione di una zona cuscinetto e di una no-fly zone nel nord della Siria e poi la fornitura di armi ai ribelli siriani contro il regime di Damasco. E intanto i jihadisti del sedicente Stato islamico avanzano anche in Iraq dove hanno conquistato Hit, nella provincia occidentale di Anbar, e tornano a minacciare il Regno Unito con il video dell’ostaggio John Cantlie da due anni nelle loro mani. Stasera e domani il punto sulla situazione in un vertice convocato a Washington con  i responsabili militari della coalizione. 

 

Sulla situazione a cui è giunto il conflitto Elvira Ragosta ha raccolto il commento di Alberto Negri, inviato del Sole 24Ore:

 R. – I raid aerei non sono affatto sufficienti a fermare le milizie dello "Stato Islamico", non lo sono state a Kobane e non lo sono neppure in Iraq, vista l’avanzata delle truppe del califfato verso la provincia di Al Anbar e verso Baghdad. Quindi, è chiaro che questa strategia di bombardamenti dall’alto deve essere rivista; del resto, lo stesso capo di stato maggiore americano Dempsey l’aveva detto: i bombardamenti aerei sono una parte di questa campagna; poi, bisogna fare la lotta al califfato sul terreno e questa lotta, come sappiamo bene, viene fatta in Iraq dalle milizie sciite - essenzialmente dai curdi di Erbil, di Barzani - e in campo siriano viene combattuta quasi essenzialmente dai curdi, in questa zona a contatto con il confine turco.

D. – Intanto, a Kobane, dopo oltre tre settimane di assedio, è emergenza umanitaria e la Turchia ha messo a disposizione della coalizione anti-Is le sue basi militari al confine siriano…

R. – In realtà l’assedio di Kobane città, dura da tre settimane. L’avanzata del califfato in quel distretto – che era popolato da un milione e 200 mila persone – dura dall’inizio di agosto: hanno conquistato 380 villaggi intorno alla capitale Kobane; quindi, l’avanzata dura da molto tempo e c’è un’emergenza umanitaria evidente, perché sono rimasti pochi dentro Kobane, quasi essenzialmente combattenti. È chiaro che c’è anche un’emergenza umanitaria. Si parlava dell’idea di aprire un corridoio umanitario, ma i turchi per ora non l’hanno fatto perché temono che i combattenti curdi del Pkk – la formazione turca di Abdullah Öcalan – fluiscano verso questo corridoio e vadano a combattere da un’altra parte. La priorità della Turchia non è tanto combattere il califfato; quanto far in modo che i curdi vadano allo stremo, perché l’idea che possa nascere una zona autonoma curda dall’altra parte, evidentemente, infastidisce molto Ankara.

D. – Tornando proprio al tema umanitario, al ruolo delle donne in questa guerra: noi vediamo da un lato una donna di 40 anni alla guida dei combattenti curdi, a Kobane; dall’altro, sulla frontiera irachena, le tantissime prigioniere yazide che vengono vendute come schiave sessuali ai miliziani dell’Is…

R. - Non solo le prigioniere yazide. Delle yazide abbiamo notizie perché c’è stato raccontato, ma dovunque siano entrati hanno fatto prigioniere anche cristiane, donne anche sunnite e sono state asservite ai miliziani, e a quelli islamici. L’esempio curdo, dall’altra parte, è chiaramente quasi scioccante per la differenza; ma qui parliamo di un altro tipo di situazione in cui i partiti curdi, i movimenti di guerriglia curda, sin dall’inizio – 30 anni fa – avevano dato alle donne un ruolo preminente; così preminente da essere entrate nella leadership politica e poi anche in quella militare.








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