2014-10-05 12:35:00

Concerto per i 150 anni della scomparsa di Giacomo Meyerbeer


L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia celebra domani sera all’Audiorium Parco della Musica di Roma con uno splendido concerto i 150 anni della scomparsa di Giacomo Meyerbeer, operista osannato dell’Ottocento e poi dimenticato. Sul podio il maestro Antonio Pappano, mentre le arie di coloratura sono affidate al soprano Diana Damrau, una vera stella della lirica mondiale. Il servizio di Luca Pellegrini.

Sono passati un secolo e mezzo dalla sua morte, e ancora Giacomo Meyerbeer è relegato a poche righe nei manuali di storia della musica e assente quasi totale dai cartelloni dei teatri d’opera del mondo. Eppure è stato una personalità di spicco per il suo tempo. Proveniente da un’agiata e illuminata famiglia borghese di origine ebraica, è da considerarsi uno dei creatori più prestigiosi e rappresentativi del grand-opéra francese, una concezione dello spettacolo in cui si specchiava la grandeur parigina di metà ottocento. Tornano in vita nel concerto di Santa Cecilia alcune famosissime pagine vocali e orchestrali di capolavori come “Robert le Diable”, “Les Huguenots”, “Dinorah”, “L’Africaine”. Meyerbeer, insomma, tanto osannato e amato nel secolo suo, tanto dimenticato, eccetto che nel suo paese di origine, in quelli successivi. Abbiamo chiesto al Presidente-Sovrintendente dell’Accademia di Santa Cecilia, Bruno Cagli, il motivo di questo oblio:

R. – E’ stato un personaggio fondamentale nella storia dell’Opera, ma, mi permetto di dire che, è come se noi oggi celebrassimo Chopin - il quale alla prima di Robert le Diable aveva elogiato moltissimo il compositore - e non esistessero i grandi pianisti che lo eseguono. Mancano le voci. Oggi fare Robert le Diable senza un cast di primo ordine, fare L’Africaine, fare i capolavori di Meyerbeer è praticamente diventato impossibile. E questo è un guaio, che ha provocato anche l’Italia: non ci sono più i veri insegnanti di canto; non c’è più una scuola di canto, perché c’è una crisi totale. 

D. - Meyerbeer anche vituperato, se non odiato, da alcuni suoi colleghi...

R. – Questo è vero da parte di Wagner, da parte di qualche “cricca”, diciamo così, mi permetto di usare questo termine. Non è vero che Rossini lo odiasse. Meyerbeer è il grande maestro del grand-opéra, quindi ha dato una svolta anche allo spettacolo. E’ una distorsione storica, perché oggi la gente non può più giudicare il valore di questo compositore, non essendoci più i cantanti in grado di affrontarlo e quindi teatri che poi lo possano mettere in scena come di dovere.

D. - Il concerto dell’Accademia celebra il compositore francese, inserendo in programma anche musiche dei suoi contemporanei: Rossini, Wagner, Berlioz...

R. – Certamente, e non esisterebbe Wagner senza alcuni precedenti meyerberiani. Questo lo sappiamo. La riconoscenza, però, in vita, e anche quella postuma, spesso sono latitanti. Il problema fondamentale è non avere più i mezzi per eseguire il grand-opéra.

D. - Per concludere, cosa lascia Meyerbeer in eredità alla storia dell’Opera?

R. – Lascia una concezione dello spettacolo musicale grandiosa, che esplora anche sul piano della vocalità e della musica in senso stretto. Meyerbeer aveva molto meditato sull’evoluzione dell’Opera.








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