2014-10-04 15:17:00

I vescovi arabi: cristiani siriani e iracheni in fuga perché indifesi


Si è conclusa  a Ras El Khaimeh, negli Emirati Arabi Uniti, la riunione annuale dei vescovi della Conferenza Episcopale dei Vescovi Latini delle Regioni Arabe (Celra) svoltasi dal 30 settembre al 4 ottobre, con la partecipazione di vescovi provenienti dalla penisola araba, Siria, Libano, Giordania, Palestina, Israele, Cipro, Gibuti e Somalia. Dopo un ricco scambio sulla situazione pastorale nei rispettivi Paesi, i presuli hanno pubblicato una Dichiarazione in tre punti. I vescovi si sono detti innanzitutto partecipi delle sofferenze dei popoli a Gaza, nella Siria e Iraq “che hanno subito una distruzione massiva con un gran numero di vittime e feriti, e a quelle dello Yemen e della Somalia, dove prevale una grande instabilità politica. Le informazioni che provengono da queste zone di conflitto sono orribili. Nove milioni di siriani sono profughi o senza casa. Più della metà dei cristiani siriani e iracheni sono fuggiti dai loro Paesi perché indifesi. Per la prima volta da 17 secoli, una grande città come Mosul si trova senza la sua comunità cristiana. Le sofferenze di altre minoranze come gli yazidi e i curdi, nonché di numerosi sciiti e sunniti non ci lasciano indifferenti. Per mettere fine a questi conflitti assurdi, occorre guarire le cause che si trovano sia nell'ingiustizia come in Palestina, sia nell'intolleranza religiosa ed etnica come in Siria e Iraq, senza escludere gli interessi politici ed economici dei Paesi che hanno sostenuto la guerra e venduto armi”.

I vescovi del Celra ribadiscono che “non c'è pace senza giustizia come non c'è giustizia senza rispetto dei diritti umani, sociali e religiosi. Infine non c'è pace senza perdono e riconciliazione. La Chiesa prega e lavora perché questa riconciliazione diventi una realtà in tutto il Medio Oriente. Senza una vera riconciliazione, basata sulla giustizia ed il perdono reciproco, la pace rimarrà assente, perché gli stessi fattori che hanno prodotto il conflitto continueranno a generare più odio e più guerre”. Affermano poi “che non si può utilizzare la violenza in nome della religione poiché ogni persona umana ha diritto al rispetto a prescindere della sua appartenenza religiosa, etnica o del suo status minoritario”. Riconoscono “il ruolo delle chiese e delle sue agenzie umanitarie nella distribuzione di aiuti senza guardare alla religione delle persone, nonché l'eroicità di molti musulmani che hanno condannato il radicalismo religioso o che hanno difeso le minoranze perseguitate a rischio delle loro vita”. Reclamano “il diritto degli oppressi all'autodifesa e alla possibilità da parte della comunità internazionale di utilizzare la forza in modo proporzionato per fermare l'aggressione e l'ingiustizia contro le minoranze etniche e religiose”.

In secondo luogo, i presuli rivolgono il pensiero “ai milioni di lavoratori stranieri in cerca di lavoro e di dignità, accolti in molti paesi del Medio Oriente” e ringraziano “quei governi che stanno facendo progressi nel riconoscimento della libertà di culto dei lavoratori. Questi, con le loro competenze ed energie, cooperano alla costruzione di paesi accoglienti e al benessere dei loro abitanti in cambio di un giusto compenso. Nello stesso tempo, i vescovi chiedono agli immigrati cristiani di rispettare la cultura e le tradizioni dei paesi che li accolgono”.

I vescovi hanno incontrato molte comunità a Dubai, Abu Dabi, Fujeireh, Um quwein, Sharja e Ras El Khaimeh, appartenenti a 34 nazionalità, ammirando la loro fede: “vivono in mezzo a difficoltà e sacrifici, ma con grande gioia. La maggioranza dei lavoratori dà una testimonianza di pace e di tolleranza, si aspetta reciprocità e rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti sociali, più particolarmente con riguardo alle donne”.

Infine, in vista del Sinodo sulla famiglia , hanno discusso “delle diverse sfide della famiglia in generale, ma specialmente quelle vissute dai profughi e dai migranti”. Hanno pensato “alle coppie separate o in crisi” ponendosi “la domanda su come trovare l'equilibrio fra l'indissolubilità del matrimonio da una parte e il bisogno dei divorziati risposati di una vita sacramentale”. Quindi hanno concluso: “Abbiamo anche sottolineato la necessità primordiale della formazione permanente delle famiglie, soprattutto l'accompagnamento delle giovani coppie e il loro inserimento nei movimenti ecclesiali che curano la famiglia”.








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