2014-09-22 13:52:00

Nuova offensiva dello Stato islamico nel Kurdistan siriano


Nuovo delirante messaggio sul web del sedicente Stato Islamico. In un tweet, si esorta a uccidere “i miscredenti in qualunque modo" e “ad attaccare i civili". Parole rivolte soprattutto ai Paesi che sostengono operazioni di Stati Uniti e Francia in Iraq. Intanto, dall'Onu si apprende che almeno 100 mila curdi sono in fuga dalla Siria verso la Turchia proprio sotto la minaccia dell'Is, che ha cinto d’assedio la città di Kobane e ha messo a ferro e fuoco 60 villaggi della regione curda. Sui motivi dell’offensiva dei jihadisti, Giancarlo La Vella ha intervistato Domenico Chirico, direttore di “Un ponte per…”, rientrato da poco dalla zona:

R. – E’ un’area a maggioranza curda, ma ci sono anche moltissimi cristiani. Nell’area del nord della Siria, infatti, ci sono molti cristiani che avevano avviato un’esperienza di convivenza anche con i curdi siriani, creando un’area autonoma. L’attacco dell’Is è una conseguenza dell’offensiva in Iraq. I jihadisti si stanno concentrando, cioè, molto di più in questi giorni sulla Siria, perché sono alle strette in Iraq, dove l’offensiva internazionale sta puntando a farli uscire dal Paese. Peraltro, va detto che l’area di Kobane, da cui pare siano fuggite 130 mila persone nelle ultime ore, è a 100 km da Raqqa, quartier generale dei miliziani, ed è strategico per l’Is conquistarla.

D. – La Turchia stessa sembra stia trovandosi in difficoltà di fronte all’arrivo di questa ondata imponente di profughi...

R. – Nelle aree curde della Siria, c’erano già tantissime persone sfollate da altre aree. Già era quindi una situazione di estrema fragilità. Queste persone hanno cercato di andare ora verso la Turchia e Ankara ha aperto inizialmente le frontiere, ma poi le ha richiuse. E c’è l’Iraq, l’altra area dove potrebbero in teoria fuggire, ma anche lì le frontiere sono chiuse. Queste persone quindi sono in trappola. E’ una situazione pazzesca e non si capisce bene se ci sia la possibilità di aiutarle, anche perché va detto che l’area nord della Siria è una zona difficilissima da raggiungere, anche per gli aiuti umanitari, ed è stata anche un’area molto negletta, in termini di interventi.

D. – Questa volta, tra l’altro, si fugge non solo per andare a trovare situazioni migliori rispetto ai luoghi di partenza, ma forse anche per salvare la vita, dato che le offensive dello Stato islamico si rivolgono spesso anche contro i civili...

R. – Quello che noi abbiamo visto ad agosto in Iraq è stato terribile, nel senso che i metodi dell’Is sono medievali: sono quelli dell’assedio, del togliere l’acqua, la luce, del rapire donne e bambini. In alcune comunità cristiane, dove lavoriamo da tempo, hanno rapito anche giovanissimi senza una reale ragione, se non quella del terrore, cioè terrorizzare le persone e la popolazione: insomma la crudeltà, proprio, come strumento scientifico di guerra. I profughi fanno fatica a tornare, anche quando questi luoghi vengono progressivamente liberati. Il trauma, infatti, è enorme di fronte ad un nemico di una forza oscura.

D. – E’ immaginabile una via d’uscita da questa situazione?

R. – Sarà necessario nel domani lavorare, come è stato 20 anni fa in Bosnia, con alterni successi, sulla convivenza. Molto spesso, infatti, questo nemico crudele non è una forza venuta dall’esterno, ma può essere anche la persona del villaggio vicino, che è semplicemente di un’altra religione. Quindi c’è paura, soprattutto tra gli appartenenti alle minoranze cristiane e yazide, che dicono: io come faccio domani a tornare nel mio villaggio, quando le persone del villaggio vicino sono state i miei aguzzini?








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