2014-09-18 12:59:00

Scuola sulle migrazioni. Bentoglio: immigrati irregolari, non clandestini


Negli ultimi anni, numerose sono state le iniziative formative dedicate al fenomeno epocale delle migrazioni internazionali: in questo quadro, la Summer School “Mobilità umana e giustizia globale”, in corso a Lecce, promossa dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dallo Scalabrini International Migration Institute (Simi) della Pontificia Università Urbaniana, si caratterizza per un “riposizionamento” di prospettiva. Essa colloca l’analisi dei processi di mobilità umana all’interno di una riflessione che rinvia anche alla questione della giustizia globale e le sue implicazioni economiche, politiche, sociali, culturali ed etiche. Gabriele Beltrami ne ha parlato con Laura Zanfrini, ordinario di Sociologia della convivenza interetnica (Università Cattolica), quindi con padre Fabio Baggio, preside del Simi e con mons. Gabriele Bentoglio, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, presenti all’evento:

R. – Con questa scuola abbiamo voluto proprio fare questo: sprovincializzare il modo attraverso il quale di solito si guarda l’immigrazione, come fosse un’emergenza, una catastrofe o qualcosa che è capitato di punto in bianco alla società italiana, trovandola sostanzialmente impreparata. Prendere, quindi, un attimo le distanze dalle questioni di più stringente attualità che naturalmente restano sullo sfondo della nostra riflessione; abituare i giovani, ma non solo i giovani, perché la nostra è un’offerta formativa che si rivolge sia agli studenti, sia agli operatori, agli insegnanti, a tante persone che a vario titolo sono coinvolte da questi fenomeni, abituarli appunto a vedere nell’immigrazione un’occasione per capire meglio, comprendere e affrontare i grandi processi di trasformazione della nostra società, in tutte le loro implicazioni, e saperle appunto raccogliere come una sfida, in qualche maniera profetica, per progettare quello che sarà il nostro futuro.

D. - Padre Fabio Baggio, questa quinta edizione della scuola ha per tema le parole che la società e le istituzioni, i media e la gente comune, e gli stessi migranti utilizzano per definire, rappresentare e comunicare il fenomeno dell’immigrazione: quali sono i nodi da sciogliere?

R. – Abbiamo notato negli ultimi anni, a partire da tutta questa esperienza degli arrivi, degli sbarchi, l’utilizzo molto vago, confuso, di alcuni termini come “migrante”, “profugo”, “rifugiato” e “richiedente asilo”. Molte volte questo utilizzo è finito sui mezzi di comunicazione, sui giornali, sulle televisioni e ha prodotto molta confusione nella testa delle persone, pensando che ci fosse quasi un’invasione di milioni di persone pronte a sbarcare e a invadere quel poco di bene comune, di welfare, che si è creato in Italia e in Europa. Immagino che l’utilizzo delle parole, l’utilizzo dei termini, la chiarezza anche nell’espressione diventi molto più importante anche nei numeri. In questo senso, questa edizione della Summer School ha voluto concentrarsi proprio su questo concetto: la chiarezza dei termini, la chiarezza delle parole, l’utilizzo delle parole. Le parole contano moltissimo, quando vogliono stigmatizzare, codificare, discriminare un gruppo rispetto ad un altro. Ed è proprio quello che abbiamo voluto mettere in evidenza in questa scuola.

D. - Mons. Gabriele Bentoglio, come il linguaggio del Magistero su questo tema e la testimonianza di Papa Francesco possono contribuire su questo argomento?

R. – In tema di mobilità umana e in particolare di immigrazioni, il linguaggio del Magistero e il linguaggio e i gesti che Papa Francesco sta ponendo in atto, mi pare innanzitutto siano attenti a rispettare la persona umana, la persona nella sua dignità, nella centralità e nella tutela, appunto, della priorità che la persona umana ha, creata a immagine e somiglianza di Dio. Questo significa che la persona umana è aiutata e sostenuta attraverso il linguaggio della Chiesa ad un incontro anzitutto con Dio. E’, nella misura in cui si rapporta a Dio che la persona umana incontra se stessa, e incontrando se stessa incontra il prossimo. Il linguaggio della Chiesa gira attorno a questo grande messaggio: l’incontro, il dialogo, la cultura che evita lo scarto e promuove la persona umana è appunto un incontro con se stessi, con Dio e con il prossimo. Questo si fa attraverso alcuni esempi che in questi giorni sto ponendo qui alla Summer School, che si sta svolgendo a Rocca di Melendugno. Il primo esempio potrebbe essere quello di evitare alcune espressioni che sono fuorvianti, ambigue o addirittura negative. La Chiesa, per esempio, preferisce evitare il termine “clandestino”, sostituendolo con il termine “migrante irregolare”, perché il clandestino dà già l’idea che ci sia un’equazione tra migrante e criminale, mentre nel caso del migrante irregolare si tratta di una persona che non ha le carte in regola; appunto, lo dice bene il linguaggio. Un altro termine che la Chiesa cerca di evitare, per privilegiarne un altro, è quello di “assimilazione”. Nel campo dell’immigrazione l’assimilazione pretende l’eliminazione delle differenze, in nome di una uniformità che elimina invece la varietà, le diversità, per creare quella unità che è comunione delle differenze, il rispetto delle diversità nella ricerca di ciò che è comune, di ciò che unisce. La Chiesa privilegia altre forme di linguaggio di questo genere, sempre tenendo conto di questo grande principio: il rispetto della centralità e della dignità della persona umana, in modo da far sì che possa incontrare Dio, incontrare se stessi, incontrare il prossimo.








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