2014-09-15 08:31:00

La condanna Onu per le brutali decapitazioni dell'Is


L’Iran dice no alla richiesta di cooperazione fatta dagli Usa nella lotta contro i jihadisti del cosiddetto Stato islamico in Iraq e Siria. Il rifiuto si legge sul sito della massima autorità religiosa l'ayatollah Ali Khamenei. Della emergenza in Iraq si sta discutendo da stamattina alla conferenza internazionale a Parigi. Il presidente francese Hollande  ha sottolineato che non c’è tempo da perdere nella lotta contro gli estremisti. E ha invitato i partner occidentali ed arabi a impegnarsi “con ogni mezzo, chiaramente, lealmente e con forza al fianco delle autorita' irachene". Nella notte il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha condannato le barbare esecuzioni affermando che l'odio che il cosiddetto Isis professa deve essere sradicato”.  Sui terrificanti video delle decapitazioni, al microfono di Roberta Barbi, Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:

R. – Credo che, paradossalmente, queste atroci esecuzioni dimostrino che lo Stato Islamico è intimorito forse più di quello che ci sembri, perché mi pare che queste esecuzioni siano messaggi lanciati non a Cameron e non a Obama, come dicono i boia, ma siano invece lanciati al resto del mondo islamico per dimostrare “noi non abbiamo paura, noi resisteremo, noi non ci facciamo intimorire dalla reazione occidentale”. Il che, ovviamente, dimostra che la paura e il timore ci sono.

D. – Il video diffuso in rete contiene anche un messaggio “agli alleati dell’America”, cioè alla coalizione voluta da Obama e che per ora comprende 10 Paesi arabi e 30 Nazioni. Cosa è lecito aspettarsi?

R. – Dalla coalizione è lecito aspettarsi un intervento militare rapido, incisivo e intelligente, dove per intelligente io intendo un intervento che non ripeta gli errori di passate coalizioni guidate dagli americani che hanno prodotto, in Medio Oriente, quasi esclusivamente disastri. Da parte invece dell’Is, quello che io mi attendo di fronte a questa reazione – se avverrà e quando avverrà – è che si sbandi, si disperda; ma noi dovremo fare attenzione a non darlo per finito, perché questi movimenti non sono eserciti regolari: sono movimenti fluidi, sono movimenti che possono sciogliersi nella popolazione e riagglomerarsi in caso di necessità.

D. – Sono stati minacciati direttamente anche i cristiani, soprattutto quelli che vivono nell’area, se non si convertiranno all’Islam. Com’è la situazione, oggi?

R. – La situazione, per i cristiani, è drammatica. D’altra parte, è drammatica almeno dal 2003, dalla guerra nell’Iraq. In tutti questi anni, i cristiani iracheni sono stati decimati – nel senso letterale del termine – o costretti all’esilio, o costretti a diventare profughi interni nello stesso Iraq. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, perché anche in quelle zone nelle quali i cristiani iracheni erano riusciti a ritirarsi a una vita sicuramente non bella, ma almeno possibile, adesso sono merce a rischio per la presenza dell’Is. Però chi si occupa e si preoccupa dei cristiani oggi avrebbe fatto bene a preoccuparsene anche negli anni scorsi.

D. – Si può fermare questo esodo?

R. – Temo che fermare l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente sia molto difficile, in queste condizioni, perché non si può chiedere alle persone, a degli esseri umani, di immolarsi sull’altare di una presenza storica, di una presenza non solo legittima, ma doverosa, perché i cristiani sono parte integrante di queste Nazioni.








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