2014-09-15 16:17:00

Biagio Conte: appello per salvare i 1000 poveri della sua missione


Ha deciso di tornare tra le montagne di Palermo riconsegnando alle istituzioni quelle strutture che, con l’aiuto di tanti volontari, aveva recuperato per accogliere poveri, migranti e donne che hanno subito violenze. Biagio Conte, laico palermitano, che oltre vent’anni fa ha vissuto da eremita cominciando da Monte Grifone per poi dedicarsi agli ultimi, ha voluto lanciare così il suo appello: la sua “Missione di Speranza e Carità” da sola non riesce ad affrontare le spese delle utenze e chiede aiuti per i 1000 ospiti. Ora vive in preghiera e meditazione in quello stesso Monte Grifone che gli ha ispirato il suo cammino di fede. Filippo Passantino lo ha raggiunto nella grotta in cui dimora:

R. – Il grido dei poveri sembra ancora oggi inascoltato. Mi rivolgo al nostro Papa Francesco e al nostro cardinale Paolo Romeo, e a tutto il popolo santo di Dio: vi chiedo preghiere per i poveri, per la città di Palermo, per la Sicilia, per l’Italia, l’Europa e il mondo intero. Il povero è parte di tutti noi, per questo è nostro dovere sostenerlo e aiutarlo; davanti a chi soffre non possiamo né dobbiamo chiudere il nostro cuore, anzi dobbiamo aprire le nostre mani donandogli quanto occorre alle necessità in cui si trova. Cittadini e autorità, comprendo che non sia facile aiutare i poveri, non ci lasciate soli! Ognuno deve fare la sua parte e spero al più presto. I poveri, gli immigrati e i profughi sono una preziosa risorsa, un vero contributo è un importante arricchimento per la nostra società.

D. – Perché la scelta di lasciare le strutture della missione?

R. – Prima, perché non dobbiamo mai attaccarci alle cose del mondo, neanche alle mura – questa è stata la forte reazione dentro di me – perché sembriamo dipendere dalle cose del mondo. Ecco, come dice il Signore: “Siate di questo mondo, ma non di questo mondo”. Allora, io non sono legato alle strutture e alle cose; ma legato alle persone, ai poveri, a quelli che soffrono, quelli che rimangono indietro. Io sento nel cuore che bisogna lanciare questo grido disperato, un grido che vuole scuotere ognuno di noi; è rivolto – sì, è vero – alle autorità, è rivolto ai cittadini, è rivolto a tutti: salire la montagna e il Signore mi dirà quello che devo fare. Io ho messo tutto nelle sue mani. Qui, il Signore mi ridà la carica, mi sento temprato, quella pace, quel silenzio, il rapporto con la natura, la simbiosi con la natura; tutto questo mi rincuora, mi ha rafforzato, ma il mio cuore è sempre con i poveri, il mio cuore è sempre con la gente, con tutti coloro che soffrono nel corpo, nella mente, nello spirito. Da quando io andai via di casa – il 5 maggio del 1990 – lasciai tutto; sento di lasciare tutto perché il Signore mi chiede di seguirlo: mi sono messo nelle sue mani, sono andato via dalle montagne, un lungo viaggio fino ad Assisi, a piedi. Mentre ero in viaggio, in questo luogo costruivano la cappella dedicata a Maria, la Madonna della Speranza, dopo un anno e tre mesi di cammino, di viaggio, di vita da eremitaggio – perché ho vissuto all’interno della Sicilia da eremita – ritorno. Avevo dedicato la mia vita al viaggio della speranza. Poi, nasce un pensiero – sotto i portici della stazione, dove ho iniziato con gli ultimi, i senzatetto – sento di chiamarla, “Missione di speranza e carità”, e dalla missione sto portando la croce.

D. – Qual è l’appello che lancia oggi alle istituzioni laiche e religiose?

R. – Con tutto il cuore, sento di dire questo: “Non abbandonate i poveri, state vicino a chi soffre!”. In questo caso, i poveri non sono solo delle missioni ma i poveri sono di tutti. Allora, ognuno deve fare la sua parte, dobbiamo aiutare loro, perché loro sono la nostra vera speranza. 








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