2014-09-13 13:58:00

Malala: arrestati i presunti aggressori. Sono talebani


A due anni dall'attacco contro la studentessa pakistana Malala Yousafzai, gravemente ferita nel 2012 in un agguato per il suo impegno a favore dell’istruzione femminile, l'esercito di Islamabad ha catturato i presunti attentatori: 10 uomini appartenenti alla principale formazione talebana del Tehrik-e-Taleban Pakistan (Ttp). Il servizio di Giada Aquilino:

Gira il mondo per sensibilizzare sull'importanza dell'istruzione contro i fanatismi, ma Malala Yousafzai è soprattutto una diciassettenne pakistana che non si è lasciata intimidire dalle minacce. Era il 9 ottobre 2012 e il minibus su cui viaggiava assieme ad altre compagne di scuola fu attaccato da un gruppo di uomini a Mingora, nella valle di Swat. Due degli aggressori chiamarono per nome Malala - all’epoca già famosa per il suo impegno a favore dell'istruzione femminile e per un blog che teneva dal 2008 - e subito dopo le spararono a bruciapelo diversi proiettili, che la colpirono gravemente alla testa. Ridotta in fin di vita, fu trasferita prima in un ospedale di Rawalpindi e poi a Birmingham, dove fu sottoposta a molteplici delicate operazioni chirurgiche. Da allora vive in Gran Bretagna con la famiglia, a causa delle minacce che ancora riceve in patria dai fondamentalisti. L’esercito pakistano, nell’annunciare gli arresti, ha precisato che si tratta di dieci persone, che avrebbero agito su ordine del potente leader talebano Mullah Fazlullah, divenuto a novembre scorso comandante del Ttp. Il gruppo talebano ha però smentito ogni responsabilità, accusando mujaheddin locali. Ma le incertezze su ciò che successe allora non fermano Malala. Selezionata per il premio Nobel per la pace 2013, insignita del premio Sakharov dell'Unione europea, Malala il 12 luglio dell’anno scorso, in occasione del suo sedicesimo compleanno, ha tenuto un discorso all’Onu in cui ha lanciato un appello all'istruzione dei bambini di tutto il mondo. Ricevuta dal presidente Usa, Barack Obama, nelle scorse settimane si è recata anche in Nigeria per seguire da vicino la vicenda delle 200 ragazze rapite da Boko Haram. Cosa rappresenta dunque oggi Malala, di fronte alla minaccia estremista in vari Paesi del mondo? Risponde Francesca Paci, inviata del quotidiano ‘La Stampa’:

R. – Malala rappresenta moltissimo per la minaccia islamista. Fu aggredita sullo scuolabus che la portava in classe, con le sue compagne, proprio per i suoi blog, per i suoi scritti, nei quali si batteva per il diritto all’educazione delle bambine come lei in Pakistan e non solo. Proprio in questi giorni, ‘The Atlantic’ ha pubblicato un lungo reportage su come in Afghanistan - a quasi dieci anni dalla guerra contro i talebani, che comunque ha portato all’attenzione la condizione delle donne afghane - centinaia di migliaia di bambine siano costrette a vestire gli abiti da maschio, i pantaloni, per poter avere un lavoro e mantenere la propria famiglia, in una società in cui le bambine non possono lavorare.

D. – E la situazione in Pakistan qual è?

R. – Solo tre anni fa il settimanale ‘The Economist’ definì il Pakistan il Paese più pericoloso al mondo. Rispetto all’Afghanistan, è certamente più avanti per molte cose: ci sono donne giudici, donne insegnanti; le città, da Islamabad a Karachi, non hanno nulla a che vedere con Kabul o con i villaggi ancora più piccoli. Però il Pakistan è un Paese estremamente pericoloso non soltanto per la presenza di numerose formazioni estremiste di matrice islamista, quindi i famosi talebani pakistani, ossia i responsabili dell’attentato a Malala, ma ci sono anche formazioni estremiste che si battono - per esempio - al confine con l’India e che quindi di fatto sono tollerate, se non addirittura appoggiate in alcuni casi, dai servizi segreti.

D. – Nei giorni scorsi sono circolati dei video con simpatizzanti del sedicente Stato Islamico (Is). Che pericoli ci sono?

R. – In Pakistan - oltre ai numerosi gruppi e alle numerose sigle filoterroriste o direttamente terroriste che sono attive già da anni e che sono aumentate anche dopo la guerra in Afghanistan - sono comparsi qualche giorno fa dei video sui social network di gruppi vicini ai talebani pakistani che facevano volantinaggio, con le bandiere nere dello Stato Islamico, per il Califfato di Al Baghdadi, che sta in questo momento terrorizzando il mondo dalla regione che di fatto controlla a cavallo tra la Siria e l’Iraq. Questo non è soltanto un salto di qualità per il Califfato islamico che, fino a poco tempo fa, parlava “soltanto” di una espansione a tenaglia nella sfera del Mediterraneo, nella zona del Medio Oriente arabo e il Pakistan non è arabo. Rappresenta anche un’altra minaccia, perché sappiamo che lo Stato Islamico sta di fatto sfidando Al Qaeda con metodi ancora più efferati: nel senso che laddove Al Qaeda era interessata a colpire esclusivamente obiettivi occidentali, il Califfato di Al Baghdadi e quindi lo Stato Islamico hanno esteso la sfida anche all’Islam sciita, ai cristiani, agli yazidi... Quindi questa sfida tra lo Stato Islamico e Al Qaeda si sta spostando anche in Asia. E negli stessi giorni in cui comparivano questi volantini filo Stato Islamico in Pakistan, il successore di Osama Bin Laden, Al Zawahiri, ha “aperto” una nuova filiale di Al Qaeda in India, rischiando quindi di riaccendere ancora di più lo scontro mai sopito tra due potenze, entrambe nucleari.

D. – Malala è impegnata a sensibilizzare il mondo sull’importanza dell’istruzione, in particolare dell’istruzione femminile. E’ stata anche in Nigeria per chiedere la liberazione delle 200 ragazze rapite da Boko Haram. E continua a ricevere minacce. Perché? Cosa c’è da attendersi?

R. – Lei purtroppo vive pensando di poter essere uccisa. In realtà, paradossalmente, in questo momento lei rischia meno di tante altre bambine, che sono invece nell’ombra e che quindi possono venire picchiate o uccise senza che ci siano i riflettori. I riflettori sono su Malala - per fortuna - che non soltanto è stata candidata al Nobel per la pace, ma che di fatto è diventata l’ambasciatrice di questo tema nel mondo. E lo è diventata perché pensare che un gruppo così minaccioso per l’ordine globale possa aver paura di una ragazzina al punto di andarle a sparare su un autobus in pieno giorno fa ipotizzare che forse la protesta di Malala fa più paura ancora dei droni americani. Questo lei, di fatto, rappresenta.








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