2014-09-10 15:45:00

L'amore vince tutto: la testimonianza dei cristiani in Burundi


Dopo l’arresto di un uomo di 33 anni che ha confessato di aver ucciso le tre suore italiane in missione a Kamenge, alla periferia della capitale burundese Bujumbura, ci si continua ad interrogare sulle reali motivazioni di tanta violenza. Non regge infatti la sua tesi e cioè che il convento si trovasse su un terreno di sua proprietà. Dubbi permangono anche sul fatto che l’uomo abbia agito da solo. Intanto, mentre proseguono le indagini della polizia, nella Messa celebrata questo mercoledì, la comunità cristiana locale si è stretta intorno alle tre salme prima del trasferimento a Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, dove questo giovedì si terranno i funerali. Sentiamo al microfono di Adriana Masotti, il padre saveriano Rubén Macìas, raggiunto telefonicamente a Kamenge:

R. - In questo momento stiamo uscendo dalla Messa. Quasi tutti i vescovi del Burundi erano presenti. C’erano tante autorità e, soprattutto, c’era un popolo di Dio che soffre di questa violenza, che vuole proclamare che l’amore deve vincere tutto. Abbiamo celebrato la Messa alla presenza di una moltitudine di gente. Ora stanno portano i corpi in Congo. Oggi faranno una sosta nella località di Luvungi, dove le sorelle avevano lavorato per molto tempo. Domani mattina andranno fino a Bukavu dove, nella cattedrale, sarà celebrata una Messa in presenza dell’arcivescovo. Dopo di che saranno sepolte nella comunità delle saveriane a Bukavu.

D. - Sempre accompagnate da persone del Burundi …

R. - Certamente. Stanno partendo tante macchine in questo momento; le accompagneranno fino a Bukavu per partecipare a questa Messa. Ci sono gli ambasciatori del consolato italiano e tante altre autorità. I cristiani, i confratelli, le sorelle e i preti saveriani, faranno questa ultima cerimonia di addio alle nostre amate sorelle.

D. - Qual è il clima, il sentimento più diffuso tra le persone lì presenti?

R. - Ci sono sentimenti contrastanti, perché sono state assassinate con una violenza, con una crudeltà inimmaginabili...  Erano delle sorelle piene d’amore! In questa cerimonia abbiamo voluto proclamare proprio questo: l’amore che vince malgrado tutto. L'arresto di quell’uomo che è stato arrestato ieri ha dato un po’ di sollievo ai nostri cuori, ma quella violenza non può vincere l’amore di queste sorelle che hanno dato la loro vita - più di 40 anni - per l’Africa.

D. - Appunto ieri l’arresto e la confessione di questo giovane. La polizia di Bujumbura non ha dubbi sulla sua colpevolezza: lui stesso ha confessato. Ci sono però perplessità, dubbi in voi che rimangono?

R. – Sì. sapere se ha operato da solo. Lui ha confessato. La polizia è sicura che aveva il numero di telefono della sorella Lucia e anche la chiave della casa. Allora sono tanti, tanti, gli elementi per dire che sia lui l’assassino. Io l’ho visto, sono stato di fronte a lui, occhi negli occhi …  Non è un matto: è un uomo che sapeva quello che faceva. Allora lo ha fatto da solo? È questo il nostro interrogativo. La polizia sta svolgendo le indagini, abbiamo fiducia nel loro lavoro e aspettiamo il risultato dell’inchiesta.

D. - È credibile la motivazione che quell’uomo ha indicato, cioè che le suore stessero in un edificio costruito sopra un terreno appartenente alla sua famiglia?

R. - Quella è una bugia! Le sorelle non hanno proprietà. Vivevano nella proprietà della parrocchia che appartiene alla diocesi. È una bugia grande come il pianeta Terra!

D. - E allora quali potrebbero essere le motivazioni reali del suo gesto?

R. - È quello che ci chiediamo anche noi. Aspettiamo che l’indagine possa dirci qualcosa di più, perché è incomprensibile un fatto del genere; conosceva i movimenti delle suore, sicuramente conosceva la casa … Nulla può spiegare una violenza del genere. Non è umano! Non è umano!

D. - Era una cosa che in qualche modo si poteva prevedere? I missionari sono protetti o comunque indifesi dove si trovano?

R. - È troppo dire “indifesi”. Ogni missionario che viene in terra di missione sa che può trovare questo rischio. Non possiamo avere la sicurezza. Noi siamo missionari, non siamo politici o altre persone che hanno bisogno di una sicurezza totale. La nostra sicurezza è Cristo e il Vangelo che proclamiamo: il resto è nulla. La notte, quando suor Bernardetta è stata uccisa, la parrocchia era circondata da un centinaio di poliziotti e nonostante questo sappiamo cosa è accaduto. Questo solo per dire che non è una questione di sicurezza; purtroppo questo cose accadono quando il Vangelo dell’amore si predica in mondo violento come questo.

D. - Quindi prevale la voglia di continuare questo vostro impegno e non quello di cedere ai timori e alla paura …

R. - Certo, la croce di Cristo non è una croce che dobbiamo temere. Dobbiamo portarla perché sappiamo che c’è la risurrezione. Noi saveriani rimaniamo qui. Queste tre martiri si aggiungono agli altri tre martiri precedenti: sono sei i martiri saveriani in questa terra. Questo non ci spinge a partire, ma piuttosto ci incoraggia a rimanere; significa che abbiamo ancora bisogno di proclamare il Vangelo in questa terra, perché il Vangelo non è ancora arrivato nel cuore di tanti burundesi. 








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