2014-09-08 14:28:00

Iraq: oggi il voto al governo di unità. Rappresentate le principali etnie


Mentre nel nord dell’Iraq prosegue l’offensiva contro il sedicente Stato Islamico, a Baghdad stasera il parlamento dovrebbe votare la fiducia al nuovo governo di unità nazionale del neo-premier incaricato al-Abadi. L’esecutivo nasce con l’accordo di tutte le principali componenti etniche del Paese ed è considerato un passo fondamentale per superare l’impasse politica che ha portato all’avanzata delle milizie integraliste. Marco Guerra ne ha parlato con Andrea Plebani docente alla Cattolica di Milano e ricercatore associato dell’Ispi:

R. - É importante che ottenga la fiducia perché questo rappresenta il primo step per risolvere una crisi che ha ormai dei contorni che sono sempre più inquietanti e che rischia di travolgere quelle che sono le fondamenta stesse del nuovo Iraq sorte sulle ceneri del regime di Saddam Hussein. È fondamentale perché qualora non ci fosse questo voto di fiducia il presidente dell’Iraq Fuad Masum, dovrebbe individuare una nuova figura e chiederle di riavviare le consultazioni per un nuovo governo di unità nazionale; questo implicherebbe uno slittamento della formazione del nuovo governo  con tutti i problemi che questo potrebbe comportare. Quindi non è un caso che l’amministrazione Obama abbia puntato sin dal principio l’indice contro quelli che sono i ritardi, le responsabilità della classe politica irachena e i problemi nati con l’amministrazione precedente di Nouri al-Maliki. Quindi sicuramente è fondamentale questo primo step, ma da solo non è in grado di risolvere i molteplici problemi dell’Iraq.

 D. - Anche gli sciiti, con il loro ruolo predominante, dovranno rivedere la loro strategia dopo dieci anni di catastrofe seguiti alla caduta di Saddam …

 R. - Sì, anche se la sfida non riguarda solo una delle principali comunità irachene, né le minoranze; riguarda l’intera comunità irachena, in particolare i partiti politici che sono espressione del voto che ha avuto luogo nel Paese. La sfida sarà quella di porre le basi per un nuovo progetto iracheno, un progetto che sia condivisibile, che possa essere sostenuto da tutte le anime del sistema Iraq, anche quelle che sono state più marginalizzate in passato - quindi ai tempi di Saddam Hussein, curdi e sciiti in primis - ma anche dopo il 2003, in particolare la comunità arabo-sunnita. Sarà fondamentale delineare i tratti di un nuovo progetto nazionale iracheno che possa essere condiviso ed avere il sostegno di tutte le anime del sistema. Una sfida tutt’altro che semplice, ma che è ancora possibile. Si tratta, con tutta probabilità, dell’ultima chance per lo Stato iracheno moderno.

 D. - Quindi, come abbiamo detto, non è sufficiente la formazione di questo governo per ricomporre un mosaico iracheno che secondo molti ormai è diviso in tre comunità: curda, sunnita e sciita …

 R. - Di fatto, della spartizione dell’Iraq in tre realtà statuali diverse, se ne parla da anni, se non da decenni. In realtà, a mio modo di vedere, si tratta di un approccio assolutamente sbagliato alla questione irachena. I territori iracheni sono da sempre caratterizzati dalla presenza di comunità miste, di città miste, di territori misti; non è possibile - se non destabilizzando ulteriormente l’area e con un tributo di sangue altissimo - separare il Paese in tre enclave omogenee dal punto di vista etnico e confessionale: non esiste un Nord esclusivamente curdo; non esiste un Centro Ovest esclusivamente sunnita; non esiste un Centro Sud esclusivamente sciita. È un errore cercare di dividere il Paese in questo modo: forse, bisognerebbe optare per una forma di federalismo più spinto con una fortissima autonomia a livello locale, ma con uno Stato centrale che detenga il controllo almeno su una strategia nazionale legato allo sfruttamento delle risorse più importanti, delle forze armate e delle relazioni con l’estero. Dividere l’Iraq dal punto di vista formale sarebbe probabilmente un errore che potremmo pagare a carissimo prezzo soprattutto negli anni futuri.

 D. - L’Occidente è di nuovo intervenuto a livello militare per sconfiggere lo Stato islamico. Forse c’è bisogno anche di una forte iniziativa politica su Baghdad?

 R. - C’è bisogno di una forte iniziativa politica ma secondo me non su Baghdad, ma sui principali attori regionali ed extraregionali. Non si può pensare di poter risolvere la crisi irachena senza coinvolgere quelli che sono gli 'stakeholder' più importanti; in particolare faccio riferimento all’Arabia Saudita e al Qatar, ma soprattutto all’Iran, alla stessa Turchia, oltre che ovviamente agli Stati Uniti e a diversi attori occidentali.








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