2014-09-07 14:48:00

In Mozambico, sempre viva la testimonianza dei catechisti martiri


Formare catechisti laici locali che affianchino i missionari nell’opera di evangelizzazione delle famiglie. E’ questo l’obiettivo del Centro catechistico a Guiúa a Nord del Mozambico, fondato nel 1972 dai Padri Missionari della Consolata. E da questo luogo, proprio a causa della fede, il 22 marzo del 1992, durante la guerra civile che imperversava nel Paese, furono catturati e uccisi da alcuni guerriglieri 23 catechisti. Tra loro anche donne e bambini. Oggi queste vittime sono ricordate come “i martiri di Guiúa” e, sul loro esempio, dal centro continuano a nascere nuove famiglie di catechisti. Marina Tomarro ha raccolto la testimonianza di padre Diamantino Guapo Antunes, direttore del Centro catechistico locale:

R. - Questo Centro catechistico di Guiúa è stato fondato nel 1972 in risposta al bisogno di formazione di catechisti laici che potessero portare avanti il lavoro di evangelizzazione insieme ai missionari, qualificandoli e rendendo il Vangelo più incarnato nella realtà culturale e nelle famiglie. E’ stato importante perché ha formato generazioni di famiglie cristiane, che sono poi diventate evangelizzatrici e sono state un grande sostegno dopo l’indipendenza, quando molti missionari hanno dovuto lasciare il Paese: potendo loro andare dappertutto sono stati i pilastri nelle comunità, riuscendo a mantenere tutte quelle comunità che erano in difficoltà per mancanza di assistenza religiosa e facendo in modo che questa Chiesa assumesse una dimensione missionaria. Le comunità cristiane si sono moltiplicate - anche in luoghi dove prima non erano presenti - grazie proprio al lavoro di questi catechisti formati, che - a loro volta - hanno formato altri catechisti.

D. - Guiúa è purtroppo ricordata anche per la strage che si è compiuta il 22 marzo del 1992, nella quale persero la vita 23 catechisti. Che cosa è successo quella notte?

R. - Quella notte il centro è stato attaccato da un gruppo di guerriglieri che hanno rapito le persone presenti. Un gruppo è riuscito a scappare… Avevano appena iniziato il corso di formazione quando c’è stato l’attacco. I catechisti sono stati presi e sono stati poi ammazzati: hanno versato il loro sangue in nome della fede che li aveva portati in questo centro. In questo senso loro sono martiri della fede!

D. - Qual è il messaggio che ci rimane oggi di questi martiri della fede?

R. - E’ un messaggio vivo, perché la loro testimonianza e il loro ricordo è vivo nelle comunità di origine e per tutta la Chiesa in Mozambico. Rappresentano anche tanti altri martiri che sono morti durante la rivoluzione a causa proprio della loro fede. Questo gruppo di martiri di Guiúa sono diventati il simbolo di una Chiesa che ha veramente sofferto, di una Chiesa che nonostante tutte le prove e tutte le difficoltà ha dato un segno di maturità e che oggi, in un contesto differente di libertà religiosa, ci sfida a essere coerenti con la nostra fede e capaci di testimoniarla.

D. - Oggi tanti sono purtroppo i nuovi martiri della fede. Pensiamo alla Siria, all’Iraq… Cosa si potrebbe fare per loro?

R. - Soprattutto non dimenticarli e fare tutto il possibile per far conoscere la loro situazione. Penso che la testimonianza che ci viene dal Medio Oriente sia una grande sfida alla nostra fede e come noi la viviamo: sono cristiani che stanno pagando un prezzo molto alto per la loro fedeltà a Cristo. Ci fanno anche riflettere sul nostro modo di vivere la fede: manifestiamo quello in cui crediamo senza avere paura di essere criticati e di essere derisi. Penso che dobbiamo valorizzare questa grande testimonianza, farla conoscere e soprattutto fare pressioni presso i governi affinché non dimentichino queste popolazioni. 








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