2014-09-03 13:46:00

Mons. Sánchez de Toca: calciatori non siano ridotti a merce


Per il Papa, “lo sport non è solo una forma d’intrattenimento, ma anche uno strumento per comunicare valori che promuovono il bene della persona umana e contribuiscono alla costruzione di una società più pacifica e fraterna”. All’indomani della partita interreligiosa per la Pace allo stadio Olimpico di Roma, il Pontificio Consiglio della Cultura, in collaborazione con l’Ufficio nazionale della Pastorale del Tempo libero, turismo e sport della Cei e la Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, ha incontrato i responsabili dell’associazionismo sportivo cattolico per una riflessione sul tema: “Lo sport è per l’uomo. Dalla cultura del risultato alla cultura dell’incontro”. Nel corso del Seminario internazionale è emerso come il sistema sportivo sia spesso autoreferenziale e fondato sulla pubblicità con il fine della vittoria, del successo e del profitto ad ogni costo. Lo sport non riesce più ad assolvere il suo ruolo di “scuola di vita” per le giovani generazioni. Ma potrà mai, lo sport, superare la cultura dello scarto dell’uomo per promuovere la cultura dell’incontro e della fraternità? Luca Collodi lo ha chiesto a mons. Melchor Sánchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura:

R. - Siamo partiti da due chiavi di interpretazione di Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium, partire dalla mentalità dello scarto per arrivare alla cultura dell’incontro. La mentalità dello scarto è presente nel mondo dello sport professionale ma, ahimè, ha delle ripercussioni non indifferenti anche nei livelli più bassi dello sport come ad esempio lo sport giovanile. La cultura dello scarto significa che l’atleta è ridotto ad un prodotto, è quotato, e in alcuni casi addirittura si parla di acquisto di giocatori come se fossero una merce. Acquistare persone pensavamo fosse qualcosa legato alle forme di schiavitù; invece ancora oggi si parla di “acquistare” i giocatori. Dunque l’atleta è ridotto a merce, ad oggetto, a prodotto. Se vogliamo risanare il mondo dello sport bisogna rimettere l’uomo al centro dello sport. Tommasi, il presidente dell’Associazione italiana calciatori, su questo è stato molto chiaro, visto che conosce molto bene questo mondo: l’atleta non è un prodotto; la medaglia o il risultato non è monetizzabile. Dunque è necessario dimenticare questa cultura dei risultati, delle medaglie, della monetizzazione e della mercificazione del giocatore.

D. - Guardando alla crisi russo-ucraina, circola in Europa l’idea di boicottare i Campionati del mondo del 2018 in Russia. È lecito un uso politico dello sport?

R. - Purtroppo questo è già successo altre volte. Tutti ricordiamo il boicottaggio americano alle Olimpiadi di Mosca del 1980 ed altre volte. Questa mattina il Papa, parlando di un altro aspetto fondamentale che è il lavoro, ricordava che la dignità dell’uomo deve essere al centro, aggiungendo che il lavoro non si tocca. Io credo che potremmo dire - poiché nello sport è fondamentale la dignità dell’uomo al centro dello sport - che con lo sport non si gioca: lo sport è un gioco! È gioco! Ma non si può giocare con lo sport, è una strumentalizzazione politica dello sport attenta alla natura stessa dello sport. Ricordiamo che lo sport olimpico è da sempre legato alle festività religiose dell’Antica Grecia, come un momento di tregua, di sospensione della guerra. Oggi è il contrario: ciò che potrebbe aiutare ad unire i popoli, è sospeso a causa di conflitti politici.

D. - Quanto è importante oggi educare allo sport, non soltanto gli atleti e i dirigenti ma anche i tifosi, gli sportivi?

R. - Un tema che è emerso con molta forza durante gli interventi dei partecipanti è stata la dimensione educativa dello sport. Lo sport è un bene culturale, educativo e spirituale, ma soprattutto direi che è emersa la dimensione educativa. Naturalmente lo sport è uno strumento che aiuta a crescere, a sviluppare la persona nella sua integralità, ma in particolare si attirava l’attenzione sull’importanza della formazione degli allenatori, di coloro che sono a contatto con i ragazzi in un’età cruciale della loro esistenza del loro sviluppo come persone e anche dei genitori, perché i genitori sono prigionieri anche di questa logica di mercato; vogliono che il loro figlio sia un campione non perché il figlio dia il massimo di sé, ma perché il figlio diventi famoso, ricco e guadagni tanti soldi.








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