2014-08-24 08:55:00

I bambini, prime vittime del conflitto israelo-palestinese


Due persone sono rimaste uccise a Gaza dopo un attacco israeliano nel 48/mo giorno di guerra. Altre cinque persone sono rimaste ferite. Intanto, localita' del Neghev occidentale, nel sud d'Israele, sono state nuovamente sotto attacco dei miliziani palestinesi di Gaza mentre in un cimitero della zona si svolgevano i funerali di un bambino di quasi cinque anni ucciso venerdi' da un colpo di mortaio. Una ventina di razzi e di colpi sono esplosi nella zona, senza provocare vittime. Sirene di allarme risuonano anche ad Ashdod e ad Ashqelon, a sud di Tel Aviv. Un altro è esploso proprio in una zona isolata di quest'ultima città, memntre 3 palestinesi sono rimasti vittime di un nuova raid israeliano sulla Striscia. E non c’è giorno che la violenza tra israeliani e palestinesi non racconti l’orrore della conta dei bimbi tra i morti, o dei traumi dei minori che sopravvivono, ma con negli occhi i bombardamenti, il lancio dei razzi, la morte dei propri cari, la violenza che li circonda. E spesso ci si dimentica che i bambini non hanno passaporto, non hanno nazionalità, sono bambini e basta, da tutelare, come ci ricorda la Convenzione sui diritti dell’infanzia, e come invece ogni guerra dell’epoca contemporanea ha tristemente dimenticato. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. David Maria Jaeger, francescano di Terra Santa:

R. – Da sempre, la morte dei bambini nei conflitti violenti ha suscitato negli animi una particolare tristezza, uno speciale senso di orrore, perché tutti riconoscono comunque che il bambino non possa essere incolpato: il bambino è innocente! La morte dei bambini non è solo una strage che colpisce profondamente le famiglie, è anche un deficit che si apre all’interno del popolo e all’interno dell’umanità, perché vengono eliminate delle potenzialità. La morte dei bambini nei conflitti armati non è solo il destino cruento e crudele delle vittime, ma è anche una ferita che si apre nell’animo degli altri bambini: quelli che sopravvivono. Immaginiamoci come possono crescere i bambini che a tre-quattro anni hanno già come parte integrante e forse principale, per certi periodi della loro formazione, questa scelta di come trovare riparo dalle armi del nemico! E’ difficile … io non posso nemmeno immaginare come si cresca con questa esperienza e quali ferite poi questa esperienza possa iscrivere nelle coscienze! Perché a questa esperienza troppo spesso corrisponde una consapevolezza alimentata – anche maliziosamente – dagli adulti e quindi il bambino cresce pensando che ci sia per sempre un nemico con un nome, un nemico che è il popolo vicino, questo o l’altro, a seconda dei casi.

D. – Ci si preoccupa di fornire a questi bambini un sostegno psicologico, di aiutarli a superare le loro paure, i loro traumi quando in realtà, poi, la soluzione, l’unica, vera soluzione è quella che conosciamo tutti, e che però è anche quella più lontana …

R. – La risposta, l’unica soddisfacente, è di contrastare questa esperienza con l’esperienza della pace. Un trattato di pace, una pace pattuita tra le due nazioni, che in tanti modi, da tanti decenni si trovano in un conflitto che prende tante forme diverse. Soltanto una pace equa, pattuita, duratura tra le due nazioni può veramente aiutare alla ricostruzione delle città, delle case ma anche degli animi e soprattutto di quelli dei giovanissimi. Le tregue servono, certo, non si devono disprezzare le tregue perché salvano tante vite, permettono tanto aiuto ai bisognosi, però una tregua non è un punto di arrivo: dalla tregua bisogna arrivare alla pace.








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