2014-08-22 15:59:00

La Germania attacca l'Italia sui rifugiati. P. La Manna: rivedere Dublino


Tensione tra Germania e Italia sulla gestione degli immigrati che arrivano dal Nordafrica. Il ministro dell’Interno della Baviera Joachim Hermann ha affermato che ''l'Italia in molti casi intenzionalmente non prende dati personali e impronte digitali dei rifugiati per permettere loro di chiedere asilo in un altro Paese''. Alessandro Guarasci

L’Italia la smetta di chiedere più solidarietà sul fronte dell’immigrazione. Così avrà pensato Il ministro dell’Interno della Baviera Joachim Hermann. Le norme europee prevedono che i rifugiati facciano richiesta di asilo nel primo Paese dell'Unione europea dove arrivano. Per Hermann, saltando la procedura di identificazione, Roma evita che i rifugiati sbarcati sulle coste italiane possano essere rimandati in Italia se identificati in un altro Paese della Ue. Le polizie della Bavaria e dell’Austria hanno reso noti casi di rifugiati fermati mentre tentavano di entrare nei rispettivi Paesi senza i documenti necessari. Il ministro, esponente deli Cristiano Sociali, ha ricordato che lo scorso anno in Germania sono arrivate 126mila richieste di asilo, contro le 27.930 arrivate all'Italia. Dunque Alfano, pensa Hermann, di cosa si lamenta? Sulle norme europee per i rifugiati, sentiamo padre Padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli
 

R. – Le persone non sono stupide, sanno che devono evitare il fermo della polizia, dove vengono prese le impronte, e quindi lo evitano. Questo le espone ad ulteriori rischi: scappano dai centri dove potrebbero ricevere le prime cure e rimangono nelle mani di trafficanti, che operano sui nostri territori e che gli consentono di raggiungere in maniera clandestina Paesi come la Germania, l’Austria, la Francia, l’Inghilterra e i Paesi del Nord Europa.

D. – Questo vuol dire, però, che il Trattato di Dublino, che appunto regola il meccanismo per la richiesta dell'asilo, non sta più in piedi?

R. – Rivederlo e superarlo, perché è ingiusto e inumano obbligare le persone a rimanere in un Paese, dove non vogliono rimanere, anche quando queste persone hanno dei familiari, degli amici in altri Paesi e tentano di raggiungerli, per avere opportunità favorevoli, una sistemazione e una vita futura migliore. 








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