2014-08-15 15:23:00

Seoul. Visita a sorpresa del Papa all'Università dei Gesuiti


Un fuori programma ha caratterizzato il rientro di Papa Francesco a Seoul, dopo l’incontro con i giovani asiatici a Daejeon. Prima di raggiungere la Nunziatura per concludere la giornata, il Papa ha voluto fare visita alla Sogang University, ateneo fondato dalla Compagnia di Gesù a Seoul nel 1960. Tra i presenti alla visita, c’era il direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, che racconta gli istanti della visita al microfono del nostro inviato, Davide Dionisi:

R. – Il Papa ha deciso di andare a trovare i suoi confratelli Gesuiti e l’ha comunicato ieri. E’ stata una cosa, quindi, assolutamente nuova anche per loro, che sono rimasti sconcertati, perché non sapevano cosa preparare e come. In realtà l’incontro è stato di una semplicità incredibile: un senso di casa, di famiglia, di normalità assolutamente grande, potente.

D. – Che cosa vi siete detti e che cosa ha detto soprattutto ai confratelli?

R. – Beh, intanto il Papa è entrato ed è stato accolto, come potete immaginare, da un grande applauso, e tutti si sono presentati. Si sono presentati uno per uno alla fine, ma all’inizio anche per tipologia di attività: i giovani in formazione, quindi, i novizi, e poi coloro che si occupano dell’apostolato spirituale, dell’apostolato giovanile. E’ stata veramente una grande festa. Il Papa ha goduto molto di questo clima e poi, dopo alcune, poche, parole introduttive di saluto, il Papa ha parlato. Ha parlato a braccio, assolutamente a braccio ovviamente, ed è stato un discorso semplice e potente, tutto incentrato su una parola – consolazione – che per noi Gesuiti è una parola fondamentale: la consolazione spirituale. Ha detto che noi siamo ministri di consolazione, che a volte nella Chiesa si sperimentano fatiche, a volte ferite, e a volte la gente sperimenta ferite anche a causa dei ministri della Chiesa. E ha ribadito quell’espressione che mi aveva comunicato nell’intervista della Chiesa come “ospedale da campo”. L’ha ribadita, l’ha confermata. Questa è la sua visione della Chiesa. Quindi, il compito di noi Gesuiti – ma direi più in generale dei ministri del Vangelo, dei sacerdoti, dei religiosi – è quello di essere persone di consolazione, che danno pace alla gente, che leniscono le ferite. E l’ha ripetuto in vari modi e con accenti molto intensi, molto coinvolti.

D. – Ha fatto qualche riferimento alla situazione coreana, alla sua visita agli obiettivi della sua visita?

R. – Ha salutato... No, non ha parlato della sua visita in generale, ma si è riferito a una situazione particolare, perché durante l’incontro con i giovani una ragazza cambogiana ha fatto riferimento al fatto che il suo Paese non ha un santo canonizzato. In realtà, c’è un martire, il primo vescovo, che si trova in fase di processo di beatificazione, comunque di esame, di cui il Papa è assolutamente consapevole. A parte questo, però, il Papa è rimasto profondamente colpito dal fatto che una ragazza così giovane si sia posta una domanda del genere. Lo abbiamo visto del resto già nell’incontro. Questo lo ha colpito profondamente e lo ha ripetuto, anche perché c’era un gesuita coreano che vive in Cambogia. C’erano, quindi, pure Gesuiti che vivono in altri luoghi.








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