2014-08-13 13:40:00

Sud Sudan: con la guerra si rischia il collasso dei servizi


È una crisi sia politica che umanitaria quella in corso in Sud Sudan, attraversato da otto mesi dal conflitto tra l’esercito del presidente Salva Kiir e i ribelli guidati dal suo ex vice, Riek Machar. Secondo gli inviati dell’Onu nell’area, non ci si può aspettare una fine rapida degli scontri – che riguardano soprattutto gli Stati di Unity, Upper Nile e Jonglei – e il Consiglio di Sicurezza minaccia sanzioni. Intanto, dagli Stati Uniti sono in arrivo 180 milioni di dollari per prevenire una carestia che si teme sia imminente. Davide Maggiore ne ha parlato con Chiara Scanagatta, rappresentante Paese dell’ong "Medici con l’Africa – Cuamm", raggiunta telefonicamente nella capitale Juba:

R. – Nelle zone dove noi lavoriamo questo problema non è ancora visibile, come lo è invece in altri Stati in cui l’emergenza ormai è conclamata. Però, un aumento dei casi di malnutrizione inizia a vedersi, quindi ci stiamo allertando per monitorare la situazione e capire come evolverà. Anche una strana stagione delle piogge, iniziata prima del tempo, molto violenta, ha contribuito a complicare la semina e il raccolto che di solito in questo periodo assicura le scorte alle famiglie.

D. – D’altra parte, continua ormai ininterrottamente, dalla fine dello scorso anno, il conflitto tra le truppe del presidente Salva Kiir ed i ribelli guidati da Riek Machar. Cosa potete testimoniare sulla situazione sul terreno?

R. – C’è un’instabilità. Noi ci troviamo in zone un po’ più tranquille però, per esempio la settimana scorsa, c’erano voci consistenti di un gruppo di ribelli che si stava spostando verso la zona dove stiamo noi: c’è stato il panico tra la gente, la mobilitazione di truppe, l’invio di armi. Si sta sempre sul “chi va là” e la gente è molto tesa.

D. – Di cosa, in questo momento, ha bisogno la popolazione?

R. – Di tutto quello che può sostenere i servizi primari, in modo però generalizzato perché la seconda faccia dell’emergenza è che tutti gli aiuti vanno verso alcune aree geografiche e per alcune problematiche. Il resto della popolazione che si trova negli Stati meno colpiti rischia di restare senza supporti, quindi rischia una seconda emergenza, quella del collasso generalizzato di tutti i servizi, che è un po’ quello che sta accadendo.

D. – In questo scenario, l’Onu non vede una soluzione a breve termine del conflitto e prospetta addirittura sanzioni se non si concluderà. Quale effetto potrebbe avere l’imposizione di sanzioni su una situazione umanitaria già così compromessa?

R. – Sicuramente, il Sud Sudan è uno Stato fragilissimo e questo non farà altro che peggiorare la situazione in generale. Le risorse a livello di autorità locali sono già poche: tutto si basa fondamentalmente sugli aiuti che le agenzie internazionali possono dare alle Ong, altrimenti questa situazione si aggraverà. Anche l’aiuto che le Ong possono dare ha un certo limite. Mi chiedo anche se queste sanzioni possano effettivamente convincere le parti in causa a scendere a patti e cercare di fermare questo conflitto che ormai sembra fuori controllo.

D. – In questo drammatico scenario, vedete qualche segno di speranza?

R. – Noi comunque continuiamo a lavorare e devo dire che la gente che lavora con noi – dal personale sanitario, alle autorità sanitarie – sta collaborando molto. Noi che non facciamo prettamente emergenza ma portiamo avanti il nostro programma di sviluppo, azioni di lungo periodo, riusciamo con le solite difficoltà a portare a casa qualche buon risultato. Da parte anche dei nostri colleghi locali, c’è la voglia di andare avanti. Noi ci basiamo su questo.








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