2014-08-08 20:16:00

Gaza: tregua finita, ripresa dei raid e dei lanci di razzi


Allo scadere delle 72 ore previste, la tregua è stata interrotta e in risposta ai razzi lanciati da Gaza, Israele ha ripreso i bombardamenti, tra le vittime un bambino. Il valico di Rafah è stato riaperto per poter soccorrere i feriti. E intanto al Cairo i negoziati sembrano ancora su un binario morto. Michele Raviart

“Le delegazioni israeliana e palestinese sono sempre al Cairo e sono in atto sforzi per riprendere i negoziati”. Il comunicato del ministro degli Esteri egiziano smentisce non solo le voci che parlavano di un ritiro degli israeliani dal tavolo delle trattive, ma esprime anche la volontà dell’Egitto di mediare per “raggiungere una nuova tregua”. Per Hamas il nodo da sciogliere sarebbe quello della chiusura del blocco su Gaza, inaccettabile da Tel Aviv. Si continua a parlare, quindi, ma continuano anche i combattimenti. I primi a colpire stamattina, dopo la fine della tregua sarebbero stati i razzi e i mortai di Hamas, che hanno fatto suonare gli allarmi anti-aerei in una ventina di località israeliane, nel raggio di quaranta chilometri da Gaza. Immediata la risposta dell’esercito di Israele che ha lanciato nuovi raid sulla parte orientale e settentrionale della Striscia, dove migliaia di palestinesi sono nuovamente fuggiti di casa. La prima vittima di questi nuovi attacchi è stato un bambino di 10 anni, coinvolto nell’assalto a una moschea nel campo profughi di Jabalia. Cinque i feriti. Secondo l’Unicef dall’inizio delle ostilità sono morti a Gaza  447 bambini, un numero superiore a quello delle guerre del 2009 e del 2012.

Sulla fine della tregua, Amedeo Lomonaco ha intervistato Giorgio Bernardelli, giornalista della rivista Mondo e Missione del Pime, esperto di Medio Oriente:

R. - Il problema è che le tregue umanitarie non sono la soluzione di un conflitto; sono uno stop imposto per un lasso di tempo per lasciare spazio alla politica. Solo che, se quest’ultima è timida e non ha la forza di intervenire in queste finestre che si aprono, poi le guerre ricominciano. È il problema di un conflitto in cui, alla fine, entrambe le parti cercano un risultato politico che può venire solo da una mediazione internazionale forte, cosa che in queste ore non si è vista.

D. - Sembra fallire anche la proposta egiziana …

R. - Il problema che, secondo me, non si continua a non cogliere fino in fondo, è che questa volta l’Egitto è una parte in causa. Che una mediazione egiziana riesca da sola a risolvere la questione è davvero un’illusione, perché i palestinesi vogliono assolutamente l’apertura del valico di Rafah, vogliono che questa guerra segni la fine dell’isolamento internazionale. Ma questo è ciò che l’Egitto non vuole, perché l’Egitto del generale Al Sisi ha chiuso ermeticamente quella frontiera.

D. - Cosa occorrerebbe? Quali dovrebbero essere le mosse da parte della Comunità internazionale?

R. - Credo che l’unica soluzione credibile sia qualcosa di molto simile a quello che è stato fatto nel 2006 in Libano. Ormai, appare in maniera evidente che la questione cruciale è la gestione del valico di Rafah e l’apertura di questo valico per l’uscita e l’entrata delle persone e delle merci da Gaza. Questo è un punto delicatissimo che si può raggiungere solo se c’è la presenza di forze internazionali in grado di dare garanzie a tutti. Credo che l’unica strada possibile sia quella, perché ogni altra situazione rischia solo di prolungare ulteriormente questo conflitto.

D. - In Iraq i cristiani scappano, a Gaza i palestinesi sono come in una trappola, non possono fuggire. Situazioni diverse, ma probabilmente sono il sintomo di un malessere generale che sta colpendo un’intera regione …

R. - Sono i contraccolpi di questa regione che ormai da tre anni, con la stagione delle Primavere arabe, si è messa in movimento e fatica a trovare degli equilibri. Ci sono degli attori regionali che hanno approfittato di questa situazione per fare la propria politica di potenza all’interno del Medio Oriente. Questo ha purtroppo conseguenze molto pesanti. Ci sono guerre che si consumano sulla pelle delle popolazioni civili più deboli. Quello che sta succedendo in Iraq, ad esempio, è assolutamente emblematico di tutto questo: è una situazione in cui c’è uno stallo, dove non si riesce neanche a trovare un accordo per nominare un primo ministro proprio per questa questione dei veti incrociati. Intanto nel nord del Paese, continua a succedere tutto quello che sappiamo.








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