2014-07-19 19:55:00

Gaza: 45 le vittime palestinesi nelle ultime 24 ore. 4 gli israeliani


Sono 45 le vittime palestinesi uccise nelle ultime 24 ore tra loro tre bambini dall’ offensiva israeliana.  Quattro i morti da parte israeliana, tra cui un beduino colpito oggi da un razzo lanciato da Gaza e caduto in un insediamento nel Neghev, e  due soldati israeliani uccisi da miliziani nella Striscia di Gaza. Sarebbero stati oltre 1660, secondo Israele, i razzi sparati finora dai palestinesi. Il servizio di Marina Tomarro.

E’ di 341 morti  il nuovo pesante  bilancio delle vittime palestinesi in 12 giorni caduti sotto i colpi dei raid israeliani  Oltre 2.200 i feriti. Tra le vittime di oggi: quattro persone della stessa famiglia sono morte in un bombardamento a Beit Hanoun, nel nord della Striscia, non distante dalla frontiera con Israele, e tra loro due piccoli, e due giovani  di 25 e 31 anni in un raid aereo su Deir al-Balah, nella parte centrale della Striscia. Di poche ore prima l’uccisione di un’altra famiglia di cinque persone, a Khan Yunis, nel sud. La comunità internazionale invoca una tregua e una soluzione diplomatica, ma gli sforzi per il momento sono stati del tutto vani.  Intanto Israele ha ordinato lo sgombero agli abitanti di due campi profughi della zona centrale di Gaza, così come già fatto nei giorni scorsi con gli abitanti di località vicine al confine con Israele. Le Brigate Ezzedin al-Qassam hanno dichiarato di aver combattuto dietro le linee nemiche, con infiltrazioni di loro uomini in territorio israeliano. Notizia nè confermata nè smentita da Israele, la cui priorità resta la distruzione della rete di tunnel di Hamas. “Stiamo estendendo la fase terrestre dell’operazione” hanno dichiarato le forze armate, fanteria e blindati, quindi, per il momento resteranno alle periferie dei centri urbani, nei pressi della frontiera. Intanto altre cifre si aggiungono a quelle drammatiche dei morti: secondo l’ agenzia Onu per i profughi palestinesi, il numero di sfollati da Gaza è salito oggi a 55mila, circa 15mila persone più di ieri.  E  sempre oggi nel Sinai settentrionale è stato bloccato da esercito e polizia, anche  un convoglio umanitario partito stamani dal Cairo e diretto a Gaza  con  l'obiettivo di consegnare aiuti alla popolazione. E' quanto si legge sul sito web del giornale governativo al-Ahram, secondo cui il convoglio dovrebbe essere rientrato al Cairo. Normalmente l'Egitto tiene il valico chiuso, ma ha deciso di aprirlo per accogliere i feriti palestinesi del conflitto in corso da 12 giorni. Secondo fonti locali  sembra che i militari hanno negato il passaggio per motivi di  sicurezza anche al personale medico.

Alla volta di Israele e della Cisgiordania è partito oggi un gruppo del movimento cattolico Pax Christi. AL microfono di Francesca Sabatinelli il coordinatore nazionale in Italia è don Renato Sacco:

R. - Pax Christi! Con un nome così non si può che essere portatori di pace e la pace va costruita ogni giorno, ancor di più là dove c’è, come in questi giorni, una guerra, “un massacro”, noi diciamo. Allora noi andiamo con lo spirito di condividere la sofferenza delle vittime e di non chiudere gli occhi! Noi abbiamo avuto il richiamo forte del viaggio del Papa qualche mese fa e poi la preghiera la sera di Pentecoste; accanto alla speranza della pace c’è la denuncia della follia di questa violenza, che ci sembra inaudita. Allora, di fronte a questa situazione, non possiamo limitarci a stare a guardare! Ciò che abbiamo fatto altre volte negli anni passati, Sarajevo, Iraq, la stessa Betlemme, lo facciamo adesso: essere là a condividere, dal di dentro, la sofferenza di chi oggi sta vivendo questa follia.

D. - Quindi, don Sacco, c’è sicuramente un legame spirituale con chi sta soffrendo, ma il vostro viaggio ha anche degli aspetti strettamente pratici?

R. - Sì, certo! Io credo che in queste situazioni, per chi è là, sia importante sapere che qualcuno non li ha dimenticati e quindi la presenza, a nome anche di chi resta a casa, è importantissima. E poi, certo, portiamo anche delle medicine per l’ambulatorio di Betlemme, e incontreremo il direttore della Caritas Gerusalemme, che è Abuna Raed, a lui daremo anche dei soldi per condividere la sofferenza delle famiglie a Gaza. Soldi che ci sono stati dati in questi 2-3 giorni da tante persone, anche dall’Italia, da famiglie, da parenti, da amici, che così hanno voluto dire: noi non possiamo venire, però, oltre alla preghiera, oltre al ricordo e all’affetto, bisogna condividere anche le cose pratiche con chi ha bisogno adesso.

D. - Quindi voi sarete in Israele, sarete in Cisgiordania, però ovviamente non vi spingerete verso Gaza…

R. - Credo di no. Penso sia praticamente impossibile. E poi, voglio chiarirlo anche per chi ci dice “ma, siete matti! Andate a cercare pericoli…”: noi non vogliamo fare gli eroi o gli avventurieri. Questa nostra presenza non vuole essere una sfida a chissà che cosa, ma un segno di vicinanza. Quindi credo che a Gaza no, però a Betlemme, a Gerusalemme e in altre situazioni dove comunque le persone soffrono. A Gaza faremo arrivare, tramite altre persone, il nostro esserci. Non vuole essere una missione eroica, ma una delegazione di pace laddove sembra che prevalga la violenza, l’uccisione, il massacro, anche di bambini, noi vogliamo dire: “No! Non dobbiamo rassegnarci a questo!”.

 








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