2014-07-08 14:02:00

Un anno fa la visita di Papa Francesco a Lampedusa


Un anno fa, l'8 luglio 2013, Papa Francesco si recava a Lampedusa nel suo primo viaggio dall’inizio del Pontificato. Una visita che il Pontefice fece per pregare per i tanti morti in mare, per i corpi senza nome, per i fratelli ancora sepolti nelle acque del Mediterraneo. Un momento di grande intensità che lo stesso Pontefice ha ricordato nel messaggio inviato sabato all’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro. Il presule lo ha letto nella chiesa dell’isola ma come è stato accolto dai lampedusani? Al microfono di Benedetta Capelli risponde lo stesso arcivescovo:

R. - E’ stato accolto con gioia perché vedono che il Papa continua a pensare a loro e all’esperienza che loro stanno vivendo qui, esperienza di accoglienza e di incontro con la povertà. Per cui, per loro anche questo è stato un abbraccio che li rincuora, li riconforta ma li ritempra anche. Sentono che devono essere qui ad accogliere, il Signore li chiama a questo servizio.

D. - Un anno fa la visita di Papa Francesco. È cambiato qualcosa nel cuore, nell’animo dei lampedusani?

R. - L’animo dei lampedusani non doveva cambiare granché. Loro questa accoglienza l’hanno sempre fatta e continueranno a farla. Quindi, è il “grazie” del Papa che li ha commossi e rincuorati. Semmai, la presenza del Papa a Lampedusa può aver aiutato diverse persone e comunità a prendere atto che queste morti, quando succedono, ci vedono tutti responsabili, anche il Papa l’ha detto.

D. - Invece, per quanto riguarda la comunità cristiana sente che Papa Francesco ha gettato dei semi e che in questo momento, in un certo modo, stiano germogliando?

R. - Sì, credo la risposta delle Chiese. Il Papa anche nel messaggio l’ha detto; ha visto che c’è un’attenzione diversa e lui sottolinea e ringrazia anche le comunità che sono presenti in questo servizio. Il fatto che ora stanno mandando i migranti ovunque in Italia, questo richiama maggiore attenzione e quindi più risposte congrue.

D. - Personalmente lei cosa ricorda di quel giorno a Lampedusa?

R. - Tutto! Gli occhi del Papa, il suo chiudersi in se stesso in certi momenti di preghiera. Quante volte mi ha detto: “Quanta sofferenza!”. Gli occhi lucidi quando ha incontrato gli immigrati, quando ha visto la gente, quando ha salutato i malati. Il cuore con cui ha parlato a tutti nel momento dell’omelia. Non c’è un attimo che si possa dimenticare, perché è stata un’esperienza unica, la prima, e noi non sapevamo nemmeno come sarebbe andata.

Forte allora il monito del Papa contro la globalizzazione dell’indifferenza che fu un richiamo al ruolo della comunità internazionale. Parole che sembrano aver dato frutti come sottolinea, al microfono di Benedetta Capelli, Valerio Landri, direttore della Caritas diocesana di Agrigento:

R. – Diciamo che la visita di Papa Francesco è stata, in qualche modo, propedeutica; ricordate quello che è accaduto ad ottobre. Per cui, in un certo senso, le sue parole sono state profetiche, sono servite a richiamare l’attenzione di tutti noi, a partire dai lampedusani e più in generale a tutti gli italiani, al dovere dell’accoglienza. “Adamo dove sei? Caino dove è tuo fratello”, sono ancora parole che risuonano forte in questi luoghi. L’esperienza di Mare Nostrum che si è attivata subito dopo la tragedia del 3 ottobre ha consentito a Lampedusa di ritornare ad una sua normalità. Adesso, qui è ricominciata la stagione turistica; i migranti chiaramente sono molti meno rispetto a quanti ne siamo abituati a vedere in questo periodo dell’anno, anche se, giusto oggi, sono appena sbarcati sull’isola circa 500 migranti di nazionalità prevalentemente eritrea e ne stiamo aspettando altri. Qui si comprende come l’esperienza di Mare Nostrum non sia sufficiente a frenare l’esigenza di vita nuova dei tanti e tanti migranti che stanno per partire per l’Europa. Lampedusa va ricostruendosi, va a recuperare la sua ordinarietà, ma sa che questa è una calma apparente e che, comunque, la sua vocazione geografica è sempre quella all’accoglienza: tutti sono pronti a fare la loro parte.

D. - Papa Francesco denunciò la globalizzazione dell’indifferenza; un concetto ribadito anche in un messaggio proprio in occasione del primo anniversario della visita a Lampedusa. Eppure la cultura dell’accoglienza, sembra un tratto tipico dei lampedusani e dei siciliani in generale …

R. - Probabilmente è determinante il fatto che i siciliani continuano a vivere come presente l’esperienza della emigrazione. Siamo un popolo che spesso è costretto ad andare altrove, a cominciare dal Nord Italia o nel resto dell’Europa per cercare un lavoro, per avere un futuro migliore … Quindi probabilmente questo ci dà anche una chiave di lettura diversa dell’esperienza migratoria. Ci fa comprendere come partire dalla propria terra, lasciare la propria storia, non sia mai una scelta piacevole, sempre dolorosa, ha un carico di dolore e di sofferenza che va assolutamente rispettato e accolto per quello che è. Quindi probabilmente è per questo che la Sicilia e l’Italia in genere, da questo punto di vista, sta attivando buone risorse. La Sicilia ha questa disponibilità all’accoglienza. La nostra terra è anche abituata ad essere invasa, colonizzata, abbiamo avuto tante dominazioni … Probabilmente questo fa sì che nella nostra cultura ci sia un’apertura alle altre culture.

D. - È cambiato il lavoro della Caritas in questo anno dalla visita di Papa Francesco?

D. - Tante Caritas siciliane sono state interpellate dalla presenza di migranti: Palermo, Siracusa, ma anche tante altre diocesi siciliane grazie anche alla presenza di Mare Nostrum si sono dovute attivare. Penso che questo abbia innescato anche dei meccanismi, delle esperienze che forse adesso non comprendiamo pienamente, ma che comprenderemo domani, risorse che erano in qualche modo addormentate e che adesso con la presenza di migranti si stanno risvegliando. Ci siamo, noi diamo un supporto laddove ci è richiesto e laddove ci è possibile.

D. - Personalmente che ricordo ha di quella visita?

R. – Quella visita ha segnato profondamente Lampedusa. Io mi trovavo in Tunisia dove siamo presenti per un rapporto di reciprocità tra le chiese. Ho seguito, ho pregato insieme alla chiesa di Tunisi, mentre ad Agrigento si pregava per le vittime del mare. Ho vissuto l’esperienza di una Chiesa che ha trovato in Lampedusa la sua unità. Quelle parole del Papa sono state un programma pastorale per tutti noi che ancora oggi continua ad essere assolutamente valido. Lampedusa continua a vivere quel giorno come se fosse il presente. Questi sette giorni di festa sono vissuti come se il Papa fosse presente, con la stessa gioia, la stessa attenzione di un anno fa.

Uno dei momenti più importanti della visita del Papa a Lampedusa è stato l’incontro con i migranti che Francesco ha ascoltato uno ad uno. Toccanti le loro storie, i racconti dei viaggi, il dolore di aver lasciato gli affetti e i luoghi del cuore. A fare da mediatore tra loro e il Papa c’era Mohammad, operatore culturale di “Save the Children”, Benedetta Capelli lo ha intervistato:

R. - Per me è stato veramente un miracolo. Io non sono cattolico però vederlo così da vicino è stato emozionante anche per me, mi sono sentito importante per il ruolo che svolgevo: avvicinarmi e riferire al Papa le loro parole. Questo è stato molto importante anche per il mio ruolo, quello di mediatore culturale; far ascoltare le loro voci, le voci delle persone che sono “ultimi”, perché nessuno le ascolta. Io sono stato protagonista nel far passare le loro voci e per me è stato significativo.

D. - Cosa ti ha detto il Papa?

R. - Per prima cosa ha cercato di capire chi fossero queste persone, da dove venivano e come erano arrivate qui, passo dopo passo. Ha salutato tutti, uno alla volta e ha chiesto loro come stavano. Tutti sono stati molto bravi nell’accoglierlo.

D. - C’è stata una storia che ha particolarmente colpito Papa Francesco?

R. - Papa Francesco si è fermato quando ha visto un ragazzo minorenne con una gamba ferita. Gli ha chiesto come stava e cosa fosse successo. Il ragazzo ha raccontato al Papa che era stato picchiato in Libia. Allora, Papa Francesco gli ha detto: “Adesso, come stai?”, e lui ha risposto “Adesso, meglio”.

D. - Per loro che esperienza è stata?

R. - Personalmente sono stato colpito da due persone: una ragazza di 16 anni ed un ragazzo di 17, seminarista in Eritrea. La ragazza era cattolica e ha detto: “Io non mi sarei mai immaginata che un giorno avrei incontrato così da vicino il Papa, che sentivo su Radio Vaticana. È come se fossi nata di nuovo”. Il seminarista, invece, mi ha detto che l’unica cosa che desiderava - essendo lui un religioso - era di trovare una Chiesa per continuare il suo percorso da seminarista, ma non si sarebbe mai aspettato prima di incontrare il Papa e di poter parlare con lui; così di sua volontà ha preparato i canti per il coro.

D. - Papa Francesco, un anno fa, disse: “Chi di voi ha pianto questi morti? e denunciò l’indifferenza nella quale molte tragedie del mare accadono… Oggi, secondo te, qualcosa è cambiato?

R. - E’ stato un messaggio forte, non solo politico ma anche umano. Si sente parlare dei morti solo nella cronaca e poi basta, nessuno li ricorda, vengono scordati. Il Papa invece si è avvicinato anche per capire la sofferenza delle persone dal profondo, da vicino…

Uno dei frutti nati dopo la visita del Papa a Lampedusa è stata l’apertura di una piccola comunità delle suore dei poveri di don Morinello. Sono tre le religiose arrivate sull’isola perché chiamate a questo impegno dalle forti parole del Pontefice come racconta suor Paola nell’intervista di Benedetta Capelli:

R. - É avvenuto per caso, per coincidenza ma spiritualmente pensiamo sia stato il vento dello Spirito, perché l’anno scorso quando il Papa è venuto dando uno sguardo d’insieme disse al vescovo, don Franco Montenegro: “Non ci sono religiosi, non ci sono suore”. Questo lo ha fatto riflettere. Poi, piano piano questa parola è stata trasmessa anche ai sacerdoti. Un sacerdote di Palermo, che ci conosce, lo ha detto di sfuggita alla madre generale suor Maria Agnese e quindi, piano piano, tra la preghiera, la riflessione, la valutazione delle nostre possibilità è maturata questa decisione. Il Papa ci ha risposto mandandoci un rosario e dicendoci che benedice questa iniziativa. Noi gli abbiamo chiesto la data e lui ci ha detto: “Quale data è migliore se non quella della Cattedra di San Pietro, il 22 febbraio?”. E noi il 22 febbraio siamo approdate qui.

D. - Come siete state accolte dai lampedusani?

R. - In maniera molto semplice, perché qui manca una comunità religiosa da prima della Seconda Guerra mondiale. All’inizio ci trattavano come turisti, poi piano piano ci hanno conosciuto. Il nostro primo progetto è quello di vivere insieme ai lampedusani, vivere il loro stile di vita, quindi di accoglienza, di disagio perché si sentono veramente isolati - e lo sono anche geograficamente -. Adesso che abbiamo iniziato a conoscere le famiglie, a partire dai malati, andando casa per casa. Ora la gente ci conosce molto di più, ci cerca di più, ci aspetta con ansia e con gioia quando entriamo nelle loro case per condividere con loro - e loro con noi - la loro vita, le loro sofferenze, i loro problemi, le loro gioie …tutto.

D. - È cambiato qualcosa da quella visita di Papa Francesco?

R. - A seconda dei punti di vista, sono cambiate tante cose: c’è una presa di coscienza sempre più forte della realtà che stiamo vivendo qui sull’isola, la consapevolezza dell’essere un punto di limite geografico e quindi di accogliere, sentirsi un po’ più interpellati non solo dal punto di vista mediatico, perché qui si sa, i riflettori si accendono solo quando ci sono i migranti ma non sulla realtà del lampedusano, che continua a vivere la sua vita a volte molto disagiata a causa del clima in cui si trova; siamo condizionati dal mare, quindi dal vento, dal clima … Il Papa ha rivolto la sua attenzione dal punto di vista umano, non solo politico come magari si penserebbe, e noi grazie al Papa, alla sua attenzione sul territorio, siamo qui presenti. Quindi ci sono piccoli cambiamenti - lo devo dire -, e lentamente ma progressivamente le prospettive cambiano.

D. - Parlando con loro c’è una frase di Papa Francesco che li ha colpiti particolarmente?

R. - Da quando siamo arrivate a febbraio, durante la Quaresima il parroco ha invocato durante la Via Crucis le parole del Papa nell’omelia. Le due frasi monumentali: “Adamo dove sei? Caino, dov’è tuo fratello?”. Queste sono due domande molto forti che il Papa ci ha lanciato e che noi continuamente rispolveriamo per entrare veramente mano nella mano, sguardo nello sguardo, occhi negli occhi con le persone che incontriamo.








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