2014-07-08 13:54:00

Raid su Gaza: altri 4 palestinesi uccisi


Ancora violenza in Israele e Palestina per la crisi innescata dall'uccisione dei tre giovani ebrei in Cisgiordania seguita poi dall'omicidio di un giovane palestinese. A Gaza 50 siti sospetti sono stati bombardati nella notte dall’aviazione israeliana e quattro palestinesi uccisi, mentre continua il lancio di razzi verso le città israeliane del Sud. Abu Mazen chiede di fermare i raid, mentre Netanyahu, che ha visto l’allontanamento del governo del partito della destra nazionalista laica, chiede fermezza contro Hamas. Ma c’è il rischio di una Terza Intifada? Michele Raviart lo ha chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Firenze:

R. - La Terza Intifada, per certi versi, è già cominciata, perché per la prima volta si vedono più forze che agiscono contro lo Stato: i palestinesi contro l’esercito, gli arabi israeliani contro la polizia, i beduini si sono messi a tirare molotov e gli estremisti ebrei si sono fatti vedere con grandi dimostrazioni. L’opinione pubblica vuole un segnale forte, non tanto per gli assassini, ma anche e soprattutto per i razzi che continuano ad arrivare da Gaza. Oltre a questo, c’è anche la necessità di dare un forte segnale politico, perché la coalizione del governo Netanyahu sta scricchiolando; il suo partner più solido è appena uscito dalla coalizione elettorale - il ministro degli Esteri, Lieberman - e l’altro importante partner dell’estrema destra Bennett, il ministro dell’Economia, da sempre martella Netanyahu invitandolo ad un’azione più decisa contro i palestinesi.

D. - Netanyahu è pressato dai "falchi". Quali sono le conseguenze per la stabilità del governo di Israele dopo queste fuoriuscite?

R. - È chiaro che se nel suo governo i falchi tirano, lui in qualche modo li deve seguire. Netanyahu sa bene che la situazione interna sul fronte ebraico è estremamente pericolosa. Si sa che se lui decidesse anche un ritiro parziale o comunque un qualche cedimento - perché tale sarebbe considerato - la sua vita sarebbe in grave pericolo. Questo glielo hanno detto chiaro e tondo i servizi segreti. Due giorni fa il capo del Mossad ha detto chiaro e tondo che non è l’Iran la minaccia per Israele, ma lo è l’assenza di un Trattato di pace con i palestinesi.

D. - A differenza di altre crisi qui sembra che in Cisgiordania la situazione sia relativamente più tranquilla rispetto a zone come Gerusalemme Est o le città arabe israeliane del Nord. Perché?

R. - Il West Bank è sotto controllo diretto e indiretto dell’esercito israeliano che ha anche richiamato altri riservisti. Semmai si sono scaldati i settori che prima si muovevano meno. Gli arabi israeliani sono sempre molto prudenti, però anche loro cominciano a muoversi, soprattutto perché reagiscono al forte disegno di legge che il governo ha presentato per proclamare Israele “Stato ebraico”, quindi per togliere la piena cittadinanza a tutti quelli che non sono ebrei.

D. - E la situazione all’interno della leadership palestinese con l’alleanza che da poco si era stabilita tra Fatah e Hamas …

R. - Hamas non vuole la guerra con Israele; c’è finito dentro perché una famiglia che dice di essere alleata di Hamas nella zona di Hebron ha rapito i tre ragazzi israeliani e li ha uccisi. Sulla leadership di Abu Mazen nessuno ha avuto alcuna obiezione soprattutto in questi giorni; è stato anche lodato dal presidente degli Stati Uniti e dal presidente israeliano Peres. Il problema è che questa situazione sta sfuggendo di mano per ragioni politiche essenzialmente israeliane, ma non solo, e che nessuno riesce a porvi rimedio.

D. - Nella tragedia del ragazzo palestinese, probabilmente bruciato vivo a Gerusalemme Est, si è trovata una sorta di solidarietà sia da una parte che dall’altra … Questa può essere invece una scintilla  per la pace o per lo meno per limitare l’escalation?

R. - La solidarietà l’hanno trovata soprattutto le famiglie e le madri perché per certi versi sono situazioni simili: le famiglie religiose con ragazzi di un certo tipo che quindi se li vedono ammazzare in questo modo e capiscono che tutto questo è la conseguenza di un gioco politico in cui i ragazzi non contano nulla. Non credo che ora però questa solidarietà tra famiglie possa davvero contare politicamente; ci sono forze molto più decise. I coloni faranno di tutto per evitare anche un parziale ritiro dai territori. 








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