2014-07-08 16:37:00

Bambini vittime di raid su Gaza e Hamas minaccia Tel Aviv


Drammatica escalation in Medio Oriente: Hamas minaccia di colpire Tel Aviv dopo l’ultimo raid aereo su Gaza con l’uccisione di 7 persone tra cui diverse donne e bambini. E suonano le sirene di allarme a Tel Aviv. Il segretario generale della Lega Araba, Nabil el-Araby, chiede una riunione "immediata" del Consiglio di sicurezza dell'Onu: al fine di "fermare l'aggressione israeliana" alla Striscia di Gaza. Il servizio di Fausta Speranza Il servizio di Fausta Speranza

Dopo giorni di continui raid israeliani su Gaza, in risposta a razzi lanciati dalla Striscia ma senza vittime, nell’ultimo attacco israeliano è stata colpita la casa di un affiliato al braccio armato di Hamas. Tra le vittime diverse donne e bambini che secondo la stessa stampa israeliana tentavano di farsi "scudi umani" per impedire con la loro presenza un attacco aereo israeliano. Netanyahuha afferma che Hamas si nasconde dietro civili. 

 

Forte lo sdegno palestinese e la condanna anche da parte della Lega Araba che esprime "viva inquietudine" per l’evidente pericolosa "escalation" delle operazioni militari a Gaza, parlando di emergenza umanitaria e di violazione" fra l'altro del diritto internazionale e degli accordi di Ginevra. Hamas reagisce minacciando la città di Tel Aviv e il nord di Israele. E in Israele si intensificano le misure di sicurezza: il Consiglio di difesa del governo autorizza il richiamo di 40 mila riservisti. Il comune di Tel Aviv si prepara ad aprire i rifugi pubblici e la rotta dei voli in arrivo e in partenza dall'aeroporto Ben Gurion viene spostata piu' a nord. 

Ma c’è il rischio di una Terza Intifada? Michele Raviart lo ha chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Firenze:

R. - La Terza Intifada, per certi versi, è già cominciata, perché per la prima volta si vedono più forze che agiscono contro lo Stato: i palestinesi contro l’esercito, gli arabi israeliani contro la polizia, i beduini si sono messi a tirare molotov e gli estremisti ebrei si sono fatti vedere con grandi dimostrazioni. L’opinione pubblica vuole un segnale forte, non tanto per gli assassini, ma anche e soprattutto per i razzi che continuano ad arrivare da Gaza. Oltre a questo, c’è anche la necessità di dare un forte segnale politico, perché la coalizione del governo Netanyahu sta scricchiolando; il suo partner più solido è appena uscito dalla coalizione elettorale - il ministro degli Esteri, Lieberman - e l’altro importante partner dell’estrema destra Bennett, il ministro dell’Economia, da sempre martella Netanyahu invitandolo ad un’azione più decisa contro i palestinesi.

D. - Netanyahu è pressato dai "falchi". Quali sono le conseguenze per la stabilità del governo di Israele dopo queste fuoriuscite?

R. - È chiaro che se nel suo governo i falchi tirano, lui in qualche modo li deve seguire. Netanyahu sa bene che la situazione interna sul fronte ebraico è estremamente pericolosa. Si sa che se lui decidesse anche un ritiro parziale o comunque un qualche cedimento - perché tale sarebbe considerato - la sua vita sarebbe in grave pericolo. Questo glielo hanno detto chiaro e tondo i servizi segreti. Due giorni fa il capo del Mossad ha detto chiaro e tondo che non è l’Iran la minaccia per Israele, ma lo è l’assenza di un Trattato di pace con i palestinesi.

D. - A differenza di altre crisi qui sembra che in Cisgiordania la situazione sia relativamente più tranquilla rispetto a zone come Gerusalemme Est o le città arabe israeliane del Nord. Perché?

R. - Il West Bank è sotto controllo diretto e indiretto dell’esercito israeliano che ha anche richiamato altri riservisti. Semmai si sono scaldati i settori che prima si muovevano meno. Gli arabi israeliani sono sempre molto prudenti, però anche loro cominciano a muoversi, soprattutto perché reagiscono al forte disegno di legge che il governo ha presentato per proclamare Israele “Stato ebraico”, quindi per togliere la piena cittadinanza a tutti quelli che non sono ebrei.

D. - E la situazione all’interno della leadership palestinese con l’alleanza che da poco si era stabilita tra Fatah e Hamas …

R. - Hamas non vuole la guerra con Israele; c’è finito dentro perché una famiglia che dice di essere alleata di Hamas nella zona di Hebron ha rapito i tre ragazzi israeliani e li ha uccisi. Sulla leadership di Abu Mazen nessuno ha avuto alcuna obiezione soprattutto in questi giorni; è stato anche lodato dal presidente degli Stati Uniti e dal presidente israeliano Peres. Il problema è che questa situazione sta sfuggendo di mano per ragioni politiche essenzialmente israeliane, ma non solo, e che nessuno riesce a porvi rimedio.

D. - Nella tragedia del ragazzo palestinese, probabilmente bruciato vivo a Gerusalemme Est, si è trovata una sorta di solidarietà sia da una parte che dall’altra … Questa può essere invece una scintilla  per la pace o per lo meno per limitare l’escalation?

R. - La solidarietà l’hanno trovata soprattutto le famiglie e le madri perché per certi versi sono situazioni simili: le famiglie religiose con ragazzi di un certo tipo che quindi se li vedono ammazzare in questo modo e capiscono che tutto questo è la conseguenza di un gioco politico in cui i ragazzi non contano nulla. Non credo che ora però questa solidarietà tra famiglie possa davvero contare politicamente; ci sono forze molto più decise. I coloni faranno di tutto per evitare anche un parziale ritiro dai territori. 

 








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