2014-07-06 10:12:00

A Bologna, famiglie adottano pazienti psichiatrici


Accogliere nella propria casa un malato psichiatrico. Succede a Bologna, dove venti famiglie hanno adottato adulti in cura al Dipartimento di Salute Mentale. Una scelta che va contro ogni stereotipo e che aiuta questi pazienti a ricominciare una nuova vita dopo anni trascorsi in istituti. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Ivonne Donegani, direttrice dell’area centri di salute mentale di Bologna:

R. – In questo momento le convivenze sono 10. E’un’esperienza che ha una forza, proprio in termini di coinvolgimento, di inclusione e, veramente, di anti-stigma. Infatti, l’idea che una persona con un disagio psichico possa vivere a casa di una famiglia che si offre di accoglierla e formata per accoglierla, è veramente un elemento dirompente, anche proprio nello sfatare l’idea che la persona con sofferenza psichica è una persona pericolosa, incomprensibile, che non può vivere dentro la società.

D. – L’obiettivo del progetto è quindi quello di rendere il paziente autonomo per far intraprendere il percorso di vita indipendente…

R. – Esatto! Oppure rientrare nella propria famiglia, quando è possibile, perché spesso si tratta di figli di persone anziane. Allora, se raggiungono un’autonomia tale da poter essere loro stessi di supporto alla madre o al padre anziano, possono anche rientrare in famiglia. Altrimenti possono vivere da soli. Oppure noi, per esempio, adesso, abbiamo una persona che ha trascorso gran parte della sua vita in istituzioni comunitarie e oggi, da ormai tre anni, vive in maniera estremamente felice, mi verrebbe da dire, in una famiglia. Io mi auguro, essendo una persona che ha una certa età, che questa situazione permanga. Faccio fatica a pensare che questa persona che ha già una certa età possa vivere in maniera autonoma. Ma già il fatto che possa stare in una famiglia anziché al’interno di una istituzione è chiaro che cambia la qualità della vita. Inoltre, l’altro elemento interessante è che molto spesso poi c’è uno scambio davvero positivo da entrambe le parti: imparare a lavare i piatti, fare le faccende insieme, andare a pagare le bollette… C’è una reciprocità importante, fra famiglia ed ospitante.

D. - Cosa spinge, secondo lei, una famiglia a decidere di adottare un paziente psichiatrico e a fare quindi una scelta che va contro gli stereotipi?

R. – Le famiglie per questa ospitalità ricevono un compenso. Io credo che a volte c’è anche la voglia di uscire da aspetti di solitudine da parte dell’ospitante, la voglia di fare qualcosa di utile per la società per le persone.

D. – Entrambi quindi hanno benefici da questa convivenza?

R. - Gli ospitati ne hanno moltissima, perché mi riferisco a persone che sono state molto tempo in comunità e sperimentano una possibilità e risperimentano una possibilità di vita normale.

D. – Ritrovano anche l’affetto di una famiglia?

R. – Non è che questa scelta si pone in alternativa alla famiglia di origine. Ma noi sappiamo benissimo che spesso o la famiglia di origine non ce la fa più o si sono create conflittualità tensioni tali per cui è come se fosse più facile ricostruire rapporti meno conflittuali in una famiglia nuova, altra. Non è che si perde l’affetto con la famiglia di origine: anzi è possibile ritrovare gli affetti con la famiglia di origine in maniera meno conflittuale. Devo dire che vedo situazioni di persone rianimate che hanno ripreso una qualità di vita normale e soprattutto rapporti non connotati dal tema del pregiudizio ma da un’affettività che sentono così forte. Secondo me è l’evidenza più grande della validità di questo progetto.








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