2014-07-04 14:28:00

Ebola: ad Accra il vertice per fermare l'epidemia


Si è concluso ieri ad Accra il vertice che ha riunito in Ghana i ministri della Sanità di 11 Paesi dell’Africa occidentale, insieme a "Medici senza frontiere" (Msf), la Croce Rossa e specialisti da tutto il mondo, per discutere di come far fronte all’epidemia in corso di Ebola, considerata la più mortale mai registrata. Sulle caratteristiche e le problematiche che presenta questa nuova epidemia, Marco Guerra ha sentito il parere di Saverio Bellizzi, epidemiologo di "Medici senza frontiere", tornato ieri dalla Guinea, uno dei Paesi maggiormente interessati dalla diffusione del virus:

R. - L’epidemia è completamente fuori controllo. Si parla già di più di 700 casi e più di 400 morti. E’ sicuro che andrà avanti ancora per alcuni mesi, almeno fino a novembre, dicembre. Gli undici Paesi ad Accra si sono riuniti perché l’area interessata è quella dell’Africa occidentale. In questo momento i casi si trovano soprattutto in Guinea, in Sierra Leone e in Liberia. Ma è pur vero che, per la grande mobilità delle persone, alcuni casi potranno sopravvenire nei Paesi circostanti. Quindi gli undici Paesi si sono impegnati soprattutto a rinforzarsi e ad aumentare le risorse umane e le risorse in generale, per poter meglio affrontare in termini, soprattutto, di sensibilizzazione e di screening delle persone che possono essere di aiuto nella gestione dell’epidemia stessa.

D. - Non è la prima volta che viene diffuso un allarme sull’ebola. Perché questa ultima epidemia preoccupa particolarmente e quale caratteristiche presenta?

R. - A differenza delle altre epidemie, che erano nei Paesi sempre dell’area equatoriale africana, come Gabon, Sudan e Congo, in questo caso è particolare in quanto la mobilità delle persone è maggiore. Quando l’allerta è stata data a fine febbraio, inizio marzo, in Guinea c’erano già numerosi focolai. La particolarità è che le persone si muovevano velocemente da un villaggio all’altro per funerali, o per prendersi cura delle persone affette, e questo non faceva altro che trasferire i potenziali malati, quindi numerosi casi, da un villaggio all’altro, anche a 50 chilometri di distanza. In più, l’epicentro si trova quasi al confine con Sierra Leone e Liberia: essendo le stesse etnie, gli stessi Paesi e le stesse famiglie, il passaggio transfrontaliero è abbastanza facile e abbastanza veloce e in breve tempo si sono formati numerosi focolai difficili da gestire. In altre epidemie, invece, essendo una realtà sociale diversa, anche di mobilità, rimanevano più circoscritte e l’impegno nel limitare l’epidemia era molto più facile.

D. - Lei è appena tornato dalla Guinea e "Medici Senza Frontiere" è in prima linea nell’emergenza. Che lavoro state facendo sul terreno, che cosa riscontrate, quali problematiche nella diffusione del virus?

R. - "Medici senza frontiere" è l’unico attore che interviene nel trattamento dei pazienti con ebola, in quanto ha le risorse e l’expertise per farlo. Poi collabora nella gestione dell’epidemia con le autorità locali, con l’Oms, e con la Croce Rossa, nell’identificare e nel seguire tutti i potenziali casi sospetti per il tempo di incubazione della malattia stessa. La difficoltà specifica di questa epidemia è proprio nel cercare di sensibilizzare, cercare di identificare e di seguire i potenziali casi sospetti, perché sono state trovate numerose resistenze di tipo culturale: le persone o non ammettono l’esistenza della malattia oppure pensano che la malattia sia stata portata dall’esterno. Per cui è molto difficile sensibilizzare e cercare di far capire alle persone che nel momento in cui sviluppano sintomi devono immediatamente essere testati per poter essere presi in carico. Infatti, come già menzionato dal congresso di Accra, particolare sforzo va messo nel sensibilizzare le persone con la responsabilizzazione degli imam, di tutte le personalità locali che hanno una certa autorevolezza.

D. - E’ giustificata la paura di un diffondersi della malattia al di fuori della sua consueta aerea, in particolare in Europa, nei Paesi occidentali?

R. - No, vedo questa ipotesi molto remota, per le caratteristiche stesse della malattia. Nel momento in cui una persona s’infetta, l’evoluzione è molto rapida. Ricordiamo che il 90 per cento delle persone infette se non trattate muoiono e anche in breve periodo, nel giro di una settimana, dieci giorni. Una persona che ha la sintomatologia dell’ebola non è nemmeno in grado di camminare.








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