2014-07-02 13:57:00

Ucciso giovane palestinese. Netanyahu: “Crimine abominevole”


Non si ferma l’escalation di violenze in Medio Oriente: il cadavere di un giovane palestinese è stato trovato questa notte a Gerusalemme dopo che la famiglia aveva denunciato il suo rapimento. Le stesse autorità israeliane non escludono che il delitto sia stato compiuto da ultrà ebrei in ritorsione per l’uccisione dei tre ragazzi israeliani in Cisgiordania. Sdegno e rabbia da parte palestinese, ferma la condanna anche del premier israeliano Netanyahu che ha parlato di “crimine abominevole”. Il servizio di Marco Guerra:

Il rapimento e l’uccisione di un giovane palestinese di 17 anni va letta verosimilmente nell’ottica di un ''azione di vendetta'' a seguito dell'assassinio dei tre studenti israeliani in Cisgiordania. Questa è la pista più accreditata e l’interpretazione dei fatti che viene fornita anche dalla radio militare israeliana, secondo cui il giovane è stato visto mentre veniva fatto salire con la forza su un'auto a Gerusalemme Est, il settore a maggioranza araba, per poi essere ritrovato nei pressi di un quartiere ebreo. Appena diffusa la notizia, nei quartieri palestinesi sono scoppiati disordini con le forze di sicurezza israeliane, tre i feriti. Per timore di nuovi disordini la polizia ha chiuso la spianata delle moschee. La tensione è altissima. Nella notte a Gerusalemme la polizia ha arrestato 50 giovani israeliani per attacchi anti arabi. Il portavoce dell’Anp, Nabil Abu Rudeina, ritiene lo Stato ebraico responsabile e il presidente palestinese Abu Mazen ha chiesto una chiara condanna alle autorità israeliane. A stretto giro la risposta da parte del premier Netanyahu, che ha parlato di “crimine abominevole” e ha esortato ''un'immediata inchiesta” sulla vicenda. Nel frattempo prosegue la caccia agli assassini dei tre ragazzi israeliani: La notte scorsa le forze israeliane hanno arrestato 42 palestinesi in Cisgiordania.

Sugli sviluppi politici di questa escalation di violenze, sentiamo il commento di Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università di Firenze:

R– Il governo d’Israele ha una forte componente di destra estrema, che vuole approfittare di questa bruttissima crisi, per continuare sulla strada degli insediamenti - addirittura, si parla di un’annessione anche parziale - e soprattutto fare in modo che il governo unitario di Hamas e Olp fallisca e quindi sia possibile punire Hamas per un gesto che le viene attribuito.

D. – Questo tragico delitto, quindi, fa il gioco della linea dei falchi di entrambi gli schieramenti…

R. – Certo. In questo modo vincono i falchi. Non so quanto vincano i falchi di Hamas. Avendo accettato di andare al governo con l’Olp, infatti, i falchi di Hamas avevano capito che la loro politica era negativa, non portava a risultati; avevano avuto quindi una misura di moderazione. Ma dentro Israele, i cosiddetti falchi, a questo punto, hanno obiettivi e metodi precisi.

D. - L’omicidio dei tre giovani è la pietra tombale su ogni speranza di dialogo con alcune fasce radicali della politica palestinese e, più in generale, proprio con il fronte palestinese?

R. - Israele ha sempre rifiutato ogni forma di dialogo con Hamas, anche se poi ci ha parlato, perché la trattativa per la liberazione di Shalit è stata fatta con Hamas, non con altri. Che Israele non voglia il governo unitario è chiaro; quanto questo sia fattibile dipenderà non solo dai palestinesi tutti, ma anche soprattutto dalla comunità internazionale, che sa bene che solo un governo unitario può provare a riportare i palestinesi in una corsia politica di dialogo, di negoziato.

D. - Aprire in questo momento un altro fronte di guerra a Gaza o in Cisgiordania, quali rischia comporta per una regione già infiammata dai conflitti in Siria, in Iraq e dalle tensioni in Egitto?

R. - Il conflitto con Gaza non è mai cessato: da Gaza arrivavano razzi e Israele ha sempre risposto con qualcosa. Può semmai aumentare e - come minaccia Hamas - “se ci bombardano troppo, noi possiamo arrivare addirittura a Tel Aviv”. Non vedo grandi connessioni con gli altri conflitti, in particolare con quello che sta facendo l’Isis, in Iraq e in Siria, perché sono realtà completamente diverse. E’ chiaro che in un’ottica israeliana, che si vede al centro di tutti questi avvenimenti, ci può essere la tentazione di unificarli, ma in realtà sono problemi e questioni totalmente diverse.

D. - Cosa potrebbe facilitare un ritorno alla via del dialogo, tanto auspicata e sostenuta anche dal Papa?

R. - L’unico modo per riprendere davvero il negoziato tra israeliani, governo Nethanyau, e palestinesi, che comprende ora anche Hamas, è letteralmente quella di costringere le parti a parlarsi, mettendo in campo, da parte della comunità internazionale, tutta una serie di misure costrittive, che facciano capire agli uni e agli altri, che non si può perdere più tempo. La politica del tempo perso giova a Israele perché mantiene l’occupazione, mentre ai palestinesi giova poco. In questo caso è il partner più forte - cioè Israele - che deve essere veramente portato, non solo al tavolo dei negoziati, come hanno fatto gli americani, ma ad un tavolo di negoziati fattivo.








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