2014-07-02 19:56:00

Renzi a Strasburgo: "senza crescita l'Europa non ha futuro"


"Senza crescita, l’Unione europea non ha futuro”. Matteo Renzi ha inaugurato nel pomeriggio all’Europarlamento di Strasburgo il semestre di presidenza italiana. Un discorso, quello del premier, interrotto sette volte dagli applausi dell’aula. Apprezzamenti dal  presidente uscente della Commissione europea Barroso, per il quale c'è bisogno di un’Italia forte al centro della Ue. Critiche invece dal Partito popolare europeo, che insiste sulla necessità di mantenere lalinea del rigore. Servizio di Giampiero Guadagni:

L’Italia non chiede scorciatoie, non viene in Europa per chiedere ma per fare riforme.  Il premier Matteo Renzi ha presentato così al Parlamento di Strasburgo il semestre italiano di presidenza dell’Unione. Un discorso a braccio, che ha toccato il tasto dell’identità e della comunità di valori. Dice Renzi: “La nostra è la generazione Telemaco. Dobbiamo fare come il figlio di Ulisse, dimostrare di meritare l’eredità dei padri dell’Europa”. Il premier ha poi parlato di patto di stabilità e di crescita, rapporto “oggi tutto sbilanciato verso la prima e poco flessibile nei confronti della seconda”. In primo piano naturalmente anche la politica estera dell’Unione. Renzi ha chiesto di fare sentire in modo netto la voce europea sulla questione mediorientale. Ha poi sollecitato una diversa attenzione per l'Africa. Ha citato le ragazze nigeriane rapite; Meriam che partorisce in carcere e Asia Bibi in prigione da quattro anni solo perché cristiana. Infine, un invito a rovesciare l'approccio sul tema immigrazione: “L'Europa deve tornare ad essere una frontiera”.  Critiche a Renzi dal nuovo capogruppo del Partito popolare europeo, il tedesco Weber, per il quale va continuata la linea del rigore. Controreplica di Renzi: “Proprio alla Germania fu concesso di violare i limiti ed essere un Paese che oggi cresce”. E comunque, conclude Renzi, “dalla prima crisi finanziaria europea è nato il Rinascimento”.

Dunque un discorso ampio quello del premier Renzi a Stasburgo che poggia su due pilastri: la necessità di sostenere la crescita economica e l’importanza di ritrovare l’identità culturale, l’anima dell’Europa. Per un commento Cecilia Seppia ha sentito Federiga Bindi docente di Politica europea al centro "Jean Monnet" dell'Università di Tor Vergata:

R. – Devo dire che ho molto apprezzato il discorso di Renzi, che in realtà non ha parlato di priorità, ma ha ricordato perché c’è l’Europa; da dove veniamo; perché è importante. E credo che oggi sia veramente fondamentale ricordarci questo.

D. – Poi, ovviamente, ha insistito sulla crescita, senza la quale non c’è futuro, né per l’Italia né per l’Europa, e ha insistito sulla flessibilità, incontrando subito le critiche del Ppe e il gelo del premier olandese...

R. – Le critiche, secondo me, vanno lette insieme all’intervista di Schauble al Financial Times di pochi giorni fa. Il punto è che è vero che bisogna fare politiche di crescita - e questo credo che sia il punto centrale del semestre di Renzi – ma la domanda è: fino a che punto Renzi ha veramente già cominciato a lavorare su questo? Secondo punto di domanda: fino a che punto le speranze di Renzi, di rendere più flessibili le regole, si scontreranno con la volontà degli altri Paesi membri? Schauble nella sua intervista dice chiaramente che nessuno ha sollevato il problema di rivedere le regole, in senso di maggiore flessibilità. Quindi, c’è un grosso gap fra quello che dice Renzi pubblicamente e quello che poi succede nelle stanze del potere.

D. – In effetti, flessibilità suona come una parola nuova, rispetto a rigore o a bilancio, pareggio di bilancio, che noi siamo abituati a sentire in questi anni...

R. – Se continuiamo con politiche di rigore strette, come quelle di adesso, non usciamo dalla crisi. Dobbiamo fare politiche di crescita. Come si fanno politiche di crescita, compatibilmente con i criteri di Maastricht? Evidentemente la cosa migliore è scorporare alcuni tipi di spese. In questo senso, il governo italiano parla di flessibilità, e dice: “Noi non vogliamo avere flessibilità, nel senso di cambiare i parametri o non rispettare i parametri, e vogliamo non includere certi tipi di spese”. Qual è il problema? Non essendo Renzi un tecnico dell’Europa, non si rende conto che la parola flessibilità richiama negli altri un mancato rispetto delle regole. Probabilmente, quindi, dovrebbe utilizzare una terminologia diversa, per dire le cose che ho appena detto.

D. – “Coraggio” ed “orgoglio” sono state le parole chiave del suo discorso, ma anche la semplicità. Renzi ha chiesto un’Europa più smart. Cosa vuol dire e come si fa?

R. – Un bel passaggio è stato quello sulla burocrazia: “Ne abbiamo già troppa in Italia”. Un’Europa più smart è sicuramente un’Europa che smette di occuparsi di dettagli piccolissimi, per avere una grande visione. Anche lì, però, un dettaglio piccolissimo, che è stato approvato negli ultimi giorni - il roaming dei telefoni – in realtà si trasmuta in un grande progetto per i cittadini. E’ evidente che Renzi ha la visione, non ha i dettagli, e questo a volte può diventare un handicap.

D. – Un’altra cosa che è saltata all’orecchio di chi ascoltava è l’uso di un linguaggio molto nuovo, tecnologico; ha usato il termine selfie, per dire appunto che l’Europa se si facesse un selfie risulterebbe l’immagine della rassegnazione, della noia. Poi ha detto che l’Europa non può essere un puntino su Google Maps. Anche questo linguaggio, quindi, sa di novità...

R. – Renzi chiaramente appartiene ad un’altra generazione rispetto a molti leader europei. Quindi da quel punto di vista forse è divisivo, nel senso che c’è tutta una generazione che lo capisce e lo sostiene, proprio per via di questo linguaggio, perché lo riconosce in quanto tale - può piacere o non piacere, ma lo riconosce in quanto tale, lo riconosce come segnale di cambiamento - ma c’è sicuramente una generazione diversa, che è abituata a tutt’altro linguaggio e che quindi, secondo me, reagisce negativamente, proprio con una reazione di chiusura. Forse, considera questo modo di parlare uno sminuire la politica, che invece non è: è un modo di essere ascoltato da chi normalmente non ascolta la politica.








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