2014-07-01 13:36:00

Dolore e sdegno per i ragazzi uccisi in Cisgiordania: oggi i funerali


Si svolgeranno oggi pomeriggio nel cimitero di Modin, non lontano da Tel Aviv, i funerali dei tre ragazzi israeliani rapiti e poi uccisi in Cisgiordania. A precederli, le cerimonie nelle comunità di origine dei giovani. Il ritrovamento dei corpi è avvenuto ieri nei pressi di Hebron. Sdegno e condanna nella comunità internazionale. Il servizio di Giada Aquilino:

È durata 18 giorni la speranza di riabbracciare Eyal, Gilad e Naftali, i tre giovani israeliani scomparsi il 12 giugno, dopo che avevano lasciato la scuola religiosa che frequentavano per far ritorno a casa in autostop. Poi, ieri sera, il ritrovamento dei corpi senza vita. Di fronte alla notizia, Israele ha confermato le accuse dei giorni scorsi: Hamas, ha detto il premier Benyamin Netanyahu ,"la pagherà".

Il Gabinetto di sicurezza riunito d’urgenza ha rafforzato le ricerche dei due presunti responsabili del sequestro, Marwan Kawasmeh e Amar Abu Ayash, entrambi miliziani della fazione islamica ad Hebron, decidendo la demolizioni delle loro case. Immediata anche la reazione di Hamas: "ogni offensiva di Israele aprirà le porte dell'inferno", ha dichiarato il portavoce del movimento a Gaza, mettendo in dubbio la versione israeliana del rapimento. Secondo fonti palestinesi, l'Anp avrebbe fatto un appello a Stati Uniti e Unione Europea per evitare "un'operazione militare di vendetta" da parte dello Stato ebraico.

Nella comunità internazionale, sdegno e preoccupazione: il presidente statunitense Barack Obama ha reagito definendo l'uccisione dei ragazzi "un insensato atto di terrore" da condannare "nel modo più forte possibile". Cordoglio è stato espresso dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, dalle autorità francesi, britanniche, italiane, tedesche. Intanto le prime indagini sui corpi dei ragazzi hanno rivelato che i tre sono stati uccisi subito dopo il sequestro, forse poco dopo la telefonata con la quale uno di loro aveva avvisato la polizia del rapimento. L’esercito israeliano, che già aveva avviato l’operazione ‘Brother's keeper’ alla ricerca dei giovani e che nella notte ha effettuato raid aerei sulla Striscia di Gaza, nelle ultime ore ha ucciso un adolescente palestinese in Cisgiordania.

Sulla vicenda, ascoltiamo il collega Giorgio Bernardelli della rivista del Pontificio Istituto Missioni Estere ‘Mondo e Missione’ e di ‘MissioOnLine’, intervistato da Fabio Colagrande:

R. - E’ una vicenda molto complessa. Dalle ricostruzioni e dalle indagini sta emergendo come questi ragazzi siano stati uccisi appena rapiti. Quello che viene fuori è che i responsabili di questo rapimento dovrebbero essere legati ad un clan locale, che vive nella zona di Hebron. Bisogna anche ricordare cos’è Hebron: è forse l’epicentro, il luogo più doloroso di questo conflitto, il luogo dove l’odio è più profondo tra arabi ed ebrei, il luogo segnato da episodi gravi di violenza a partire dalla prima strage - quella del 1929 - che è un po’ l’atto di inizio del conflitto israelo-palestinese. Per cui, anche questo puntare il dito solamente su Hamas credo che oggi sia un obiettivo "squisitamente politico", da un certo punto di vista anche legato al bisogno di indicare un colpevole. E forse è il tipo di risposta che non aiuta davvero ad andare in profondità di quell’odio che poi sta alla radice di atti davvero efferati ed inumani come questo.

D. - Molti analisti e commentatori pensano che dietro questo fatto di sangue ci sia l’intenzione di distruggere l’accordo tra Hamas ed Al Fatah, tra Hamas ed Abu Mazen, nel quale invece molti riponevano speranze di pace…

R. - Chi ha agito in questo modo non metteva in atto certamente un gesto che potesse incoraggiare questo tipo di evoluzione della situazione in Palestina. Però ho qualche riserva a livello personale sul fatto che si sia trattato di un atto studiato a tavolino. Molte notizie sono state tenute coperte durante queste settimane, perché non si voleva pregiudicare le indagini; ma adesso sta venendo fuori che in quella telefonata fatta (da uno dei giovani, ndr) alla polizia israeliana si sentono colpi di arma da fuoco. 

D. - Padre Lombardi, portavoce vaticano, ha ricordato che il Papa si è unito al dolore inenarrabile delle famiglie colpite da questa violenza omicida. E poi ha detto ancora: è “un gravissimo ostacolo sul cammino verso quella pace per la quale dobbiamo instancabilmente continuare ad impegnarci e pregare”; “la violenza - ha aggiunto - chiama altra violenza e alimenta il circolo mortale dell’odio”…

R. - C’è purtroppo un vento che soffia… quello di una risposta militare molto forte. Ma, soprattutto, ancora di più inquieta il contesto più generale della regione in cui tutto questo si inserisce, perché - dall’Iraq alla Siria ed anche per certi versi all’Egitto - tutto il Medio Oriente è scosso da questa violenza. Aprire un altro fronte oggi potrebbe avere conseguenze devastanti, potrebbe non fare altro che aggiungere violenza ed ancora violenza, appunto. In qualsiasi tipo di risposta deve esserci, comunque, uno sguardo prospettico, che non può essere solo quello della vendetta. Non c’è altra via che quella di una capacità, di un incontro, di un dialogo inclusivo, in qualche modo responsabile, che porti ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità di fronte alla violenza, certamente, ma che provi a dare anche risposte, fino alle radici di quell’odio che si esprime in maniera così brutale. Credo che non ci sia un’altra strada, altrimenti il Medio Oriente non potrà che continuare a scivolare in questo piano inclinato che davvero lo porterà a raggiungere abissi, fino ad ora mai visti. 








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