2014-06-28 15:08:00

Iraq: violenze indiscriminate contro i cristiani


In Iraq, mentre sul terreno continuano ad affrontarsi esercito e ribelli sunniti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), si consuma il dramma della popolazione civile in fuga dalle violenze. Soprattutto la comunità cristiana è vittima di questo conflitto, obiettivo degli attacchi indiscriminati dei miliziani fondamentalisti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Cristiano Tinazzi, che si trova nella zona curda di Erbil:

R. – Per quanto riguarda la zona del Kurdistan, ci sono stati problemi a Qaraqosh, dove c’è una grande comunità cristiana, nel Nord dell’Iraq: nei giorni scorsi ci sono stati e pare che ce ne siano ancora adesso, fuori Qaraqosh, degli scontri tra peshmerga e Isis, e quindi tutta la popolazione – si parla di decine di migliaia di persone – di Qaraqosh è scappata e si è riversata ad Erbil, nel quartiere cristiano di Ankawa. E’ una situazione di emergenza, perché non ci sono strutture per accoglierli …

D. – I cristiani sono doppiamente obiettivo dei ribelli sunniti?

R. – Credo proprio di sì. Molti di loro sono scappati da Baghdad negli anni passati, dopo le violenze […] e le persecuzioni contro i cristiani, cercando di trovare un posto sicuro, e adesso si ritrovano di nuovo a fuggire. La gente è terrorizzata, non vuole assolutamente più rimanere in Iraq; chi potrà, andrà via.

D. – Spesso sono oggetto di violenze gratuite terribili. Hai qualche notizia su questo?

R. – La gente parla di case distrutte, di chiese all’interno delle quali vengono bruciate immagini e statue, e comunque i simboli del cristianesimo vengono distrutti. Chiaramente i cristiani hanno il grandissimo terrore di essere l’obiettivo primario, insieme agli sciiti.

D. – Le autorità religiose locali continuano ad appellarsi alla comunità internazionale e continuano a chiedere un intervento in aiuto della popolazione …

R. – Sì: anche il vescovo di Erbil ha avanzato questa richiesta. E’ una richiesta comune che va dai religiosi alla gente comune, che si rivolge a Papa Francesco: cercano di comunicare un messaggio, una richiesta d’aiuto, affinché si faccia qualcosa per loro, perché non sanno che fare, non sanno dove andare, non hanno i soldi anche perché molti di loro sono povera gente e non hanno neanche la possibilità di andarsene in un altro Paese … Hanno abbandonato i loro campi – molti sono contadini – e quindi hanno perso anche i pochi soldi che avevano, e ora non hanno niente. La comunità internazionale deve fare qualcosa – sta facendo qualcosa attraverso le Nazioni Unite che comunque sono presenti, e qualche organizzazione internazionale; ma in questo momento ad Erbil c’è un’emergenza umanitaria, soprattutto per quanto riguarda i cristiani, che non si era mai vista. Io ho parlato con una suora che stava gestendo l’emergenza in una delle tante scuole che adesso ospitano i profughi, e mi ha raccontato che è la prima volta che hanno così tanta gente che sta scappando da alte città per venire lì …

Sulla situazione dell’Iraq si sofferma anche il cardinale arcivesvovo di Lione, Philippe Barbarin - intervistato da Audrey Radondy - che riferisce di una recente telefonata avuta con il patriarca caldeo, Louis Sako:

R. – Je l’ai contacté en disant: ou en sommes-nous?…

L’ho chiamato e gli ho chiesto: come va? E lui mi ha detto: ‘Siamo una ventina di vescovi caldei, compresi quelli che sono venuti dai Paesi vicini come l’Iran, e stiamo facendo il punto sulla situazione’. A tutt’oggi, esiste un sia pur minimo equilibrio, però è chiaro che il pericolo esiste. C’è una vera e propria esplosione e il cuneo in realtà è tra sciiti, sunniti e anche curdi. E quindi, il patriarca mi ha detto: ‘Ovviamente, preferisco di gran lunga una divisione del mio Paese in una parte assegnata agli sciiti, una ai sunniti e una ai curdi, piuttosto che la carneficina di migliaia e migliaia di innocenti. Ma questo è compito del governo, della diplomazia e dell’esercito…’. Nell’attesa degli eventi, il patriarca si impegna a essere vicino alle persone, al suo popolo e non esclusivamente ai cristiani. Mi ha detto che per lui la nostra amicizia è molto importante: ricevere denaro, cibo e vestiario e poterli distribuire alla gente è certamente utile. Ma lo è molto di più il percepire un sentimento – chiaro, vivo, preciso, fraterno – di non essere dimenticati, di essere accompagnati dalla preghiera e dall’amicizia dei cristiani di altri Paesi.








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