2014-06-27 14:38:00

Il gesuita padre Valletti: la morte di Ciro è un fallimento


All’Auditorium di Scampia continua l’omaggio alla salma di Ciro Esposito, il giovane tifoso del Napoli rimasto ferito a Roma negli scontri tra tifoserie lo scorso 3 maggio, in occasione della finale della Coppia Italia, e morto due giorni fa. I funerali si svolgeranno oggi pomeriggio, e nel frattempo risuonano incessanti gli appelli, soprattutto della famiglia, a evitare qualsiasi atto di vendetta.  L’arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, in un messaggio, ha invitato a bandire la violenza dallo sport, mentre pochi giorni fa i vescovi italiani avevano definito la morte di Ciro “il vero fallimento per il calcio italiano”. E’ questo ci dice anche padre Fabrizio Valletti, gesuita di Scampia al microfono di Francesca Sabatinelli:

R. – E’ un fallimento di educazione e di spirito sportivo. Il calcio italiano è una delle miniere d’affari più grandi e sappiamo che dietro agli affari c’è poi la corruzione, il calcio scommesse e anche tutto un giro di malavita non evidente, ma che negli anni passati molte volte è emerso. E’ uno sport, quindi, malato, ma non per chi lo vuol praticare, perché per esempio, qui a Scampia, noi abbiamo squadre di ragazzi per i quali è sano giocare, è sano divertirsi ed è sano fare sport. Viene però contaminato sia dall’aspetto commerciale, sia dall’aspetto dello spettacolo e della pubblicità, ma soprattutto poi dalla sottolineatura che gli viene data dagli sportivi stessi durante gli eventi, quando ciascuno sfoga forse le sue ansie represse e diventa un po’ come un gladiatore. Assistere oggi ad una partita di calcio è come assistere ad una lotta greco-romana: i calciatori si aggrediscono, cascano per terra, e questo alimenta negli sportivi e negli spettatori un clima di violenza, un clima di aggressione. Non c’è più lo sport per il divertimento. Quello che si sta verificando, quindi, sono queste espressioni dei cosiddetti “Ultras”, espressioni di sub-cultura, che poi danno adito a contaminazioni di tipo politico e ideologico, perché in genere questi gruppi appartengono a varie volontà politiche.

D. – Lei ci diceva come la squadra di calcio a Scampia sia un fenomeno sano, sappiamo che il calcio ha spesso tolto i ragazzi dalle strade delle periferie italiane. Quando, però, poi si ripetono i fenomeni, come purtroppo la morte, e in questo caso quella di Ciro Esposito, questi giovani che ritorno hanno? Quanto li condiziona e quanto li rovina?

R. – Diciamo che lo spirito dei ragazzi è sereno, ed è giusto. Già il modo in cui, però, loro affrontano il calcio è contaminato, perché per molti rappresenta il divismo, l’affermazione, il mito, e per molte famiglie rappresenta pure la possibilità che questi ragazzi diventino dei grandi calciatori e procurino molti soldi. Ma questo è insito anche nei ragazzi: a 13, 14 anni hanno già il loro procuratore. Il presidente di queste scuole calcio è il padrone di questi ragazzi. Addirittura, c’è un fenomeno molto grave, che riguarda la formazione dei piccoli calciatori: molte volte le squadre più grandi organizzano dei gruppi famiglia, dove questi ragazzi studiano e giocano a calcio, con un allenatore, un mister, un tutor che li sorveglia e che li guida. E questo avviene lontano chilometri dalla famiglia. Questi ragazzi, quindi, tornano una volta al mese in famiglia, e sono ragazzi di 14, 15 anni. Questo è un fenomeno gravissimo, provoca una selezione feroce, perché forse uno su diecimila poi arriverà a diventare un professionista. Questa logica è perversa. Quando nello stadio si balla, si canta, si urla e fuori dello stadio ci si mena e ci si picchia, è segno che qualcosa non funziona. E’ un fenomeno, cioè, che sfugge al controllo, anche se poi non è il controllo repressivo che può sanare questa malattia. Bisogna ripensare a come organizzare lo sport a livello di società.

D. - Secondo lei, quindi, tutti i provvedimenti che, regolarmente, vengono presi o minacciati dopo le guerriglie urbane, che ci sono attorno alle partite, Daspo e così via, possono avere una funzione limitata?

R. – Ma certamente, perché il “calcio spettacolo” diventa un gioco d’affari di una proporzione impressionante: gli ingaggi, le vendite, i prestiti, i contratti. Un tempo erano gli attori ad essere il modello di questa grande espansione economica, oggi sono i calciatori. E’ un fenomeno che ha una ragione di filosofia economica. Quindi, penso, veramente, che il fenomeno sia talmente avanti, che nessuno lo fermerà mai. Questo è doloroso. Tra l’altro, quando si riunisce tanta folla, viene la tentazione di sfruttare la folla anche a fini pubblicitari, non solo di stampo commerciale, ma anche politica e ideologica. Cosa che sta succedendo ora, per esempio, per il funerale di questo povero ragazzo.

D. - Le ricadute per Scampia, ora, quali rischiano di essere?

R. – Non c’è alcun rischio. E’ l’evidenziazione di un’emotività, che non ha altro modo di potersi sviluppare ed esprimere, perché non c’è speranza di lavoro, non c’è modo di divertirsi, e si trova appagamento con queste partite. Se poi c’è un atto di violenza come questo, l’esaltazione diventa ancora maggiore. E però anche il dolore può diventare spettacolo. E quando esplode la violenza e si dice che i giovani sono malati, allora si piange. Ma chi li fa essere malati? Chi è che provoca questa esaltazione e questa violenza? Non nasce da sola.








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