2014-06-25 12:59:00

Sudan: Meriam interrogata dopo il fermo in aeroporto a Khartoum


E' ancora sotto interrogatorio da parte della polizia sudanese Meriam Yahya Ibrahim, la donna cristiana rilasciata lunedì dopo l'annullamento della condanna a morte per apostasia e nuovamente fermata ieri, all’aeroporto di Khartoum, mentre stava per imbarcarsi per gli Stati Uniti assieme al marito e ai due figli. L’avvocato della giovane, Mohanad Mustafa, ha spiegato che Meriam non è in stato di arresto dopo il fermo, ma viene interrogata per verificare l'autenticità del documento rilasciatole dalle autorità del Sud Sudan, sul quale - secondo fonti di Khartoum - sarebbe presente un visto americano. L’ambasciata di Juba nella capitale sudanese ha fatto intanto sapere che Meriam aveva diritto al documento concessole, perché il marito e i figli hanno cittadinanza sudsudanese. Sulla vicenda, Giada Aquilino ha intervistato padre Efrem Tresoldi, direttore della rivista comboniana Nigrizia:

R. – Al momento Meriam è ferma all’aeroporto di Khartoum, dove le contestano di aver prodotto documenti falsi per poter partire con la famiglia verso gli Stati Uniti. Secondo quanto è stato dichiarato, era in possesso di documenti del Sud Sudan, con permesso di entrata negli Stati Uniti. Secondo le leggi sudanesi, potrebbe incorrere in una pena di cinque anni di carcere per avere forgiato questi documenti.

D. – Perché questa accusa?

R. – E’ tutto da vedere. Il ministro degli Esteri sudanese ha convocato l’ambasciatore sud sudanese e quello statunitense per cercare di fare chiarezza su questo caso. Sembra, effettivamente, una cosa abbastanza pretestuosa. Quello che pare piuttosto certo è l’accanimento nei confronti di una persona innocente, colpevole - nelle accuse - di avere tradito la fede islamica. La libertà religiosa non è solo un diritto, ma riguarda la coscienza di una persona, quindi la cosa più intima, interiore, di una persona. E direi che la reazione internazionale, con 3 milioni di firme contro la sentenza di morte emessa in primo grado contro Meriam, è proprio un’indicazione di una coscienza internazionale che dice ‘no’ a questo abuso di potere.

D. – Cosa significa oggi essere cristiani in Sudan?

R. – Essere cristiani in Sudan oggi significa veramente correre sul filo di un rasoio, perché da quando, nel 2011, c’è stata la secessione, l’indipendenza del Sud Sudan, i sud sudanesi - che erano scappati dal Sud Sudan durante la guerra civile e che da tanti anni risiedevano in Sudan - sono accusati o guardati da tanti nella popolazione del Sudan come traditori, come se i cristiani fossero colpevoli di avere causato la secessione. E questo riguarda anche i nostri missionari, che ancora resistono ma con tanta difficoltà, perché molto spesso i permessi di lavoro non vengono rinnovati e, una volta scaduti, devono per forza lasciare il Paese. Alcune Congregazioni hanno già lasciato il Sudan, per queste condizioni sempre più restrittive nei confronti del personale missionario.








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