2014-06-25 14:43:00

Alleanza qaedista tra i gruppi ribelli di Iraq e Siria


Preoccupa la comunità internazionale l’alleanza tra i miliziani qaedisti siriani del Fronte Al Nusra con i guerriglieri jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante. Un’intesa che arriva in un momento di grande instabilità per i due Paesi. Il premier iracheno, Al Malik,i ha inoltre escluso la creazione di un governo di unità nazionale come richiesto dagli Stati Uniti. Sul patto raggiunto tra i due gruppi, Benedetta Capelli ha chiesto un commento ad Alessandro Corneli, già docente di Storia delle relazioni internazionali alla Luiss di Roma:

R. – A me pare che questo conflitto locale che si sta svolgendo ai confini tra l’Iraq e la Siria faccia parte di uno scenario più ampio, che ha visto il fallimento del tentativo dell’Arabia Saudita di far cadere il regime siriano di Assad e questo ha quindi ridato spazio alle organizzazioni sciite, che si appoggiano non soltanto sulla Siria ma soprattutto sull’Iran. Questo è il grande scenario che mi pare si stia delineando in Medio Oriente: fallimento della politica dell’Arabia Saudita di egemonizzare, di creare una "cortina sanitaria" – come si dice tradizionalmente – intorno all’Iran, per isolarlo, e viceversa, non essendo riuscito questo tentativo, l’Iran sta uscendo in forza come potenza, dalla quale non si può prescindere.

D. – Questi due gruppi esprimono un’ideologia qaedista, ma per mesi si sono combattuti. Allora, che cosa è cambiato in questi giorni?

R. – Difficile, dirlo. Probabilmente, c’è da una parte una volontà di affermarsi come struttura bene organizzata nei confronti di tutti gli altri tentativi organizzati, sia in Siria che in Iraq, di gruppi che invece hanno dimostrato di non avere questa capacità. Dall’altro, c’è la volontà di dare una svolta abbastanza ideologica – ideologico-religiosa – forte, che corrisponde del resto a questo scontro che sta avvenendo, comunque sia non ancora risolutivo, tra il gruppo sunnita e il gruppo sciita che fa capo all’Iran.

D. – Si parla anche di un reclutamento in Kurdistan da parte dell’Isil, una zona che però fino adesso è stata sempre al riparo dai combattimenti. Qual è secondo lei la strategia dello Stato islamico dell’Iraq del Levante?

R. – A parte gli aspetti ideologici, poi c’è il petrolio, cioè ci sono interessi molto concreti. E nel Kurdistan il petrolio è abbondante e costituisce la ricchezza principale del Paese. Ritengo che l’obiettivo, quindi, sia una suddivisione, una spaccatura, una frammentazione dell’Iraq. Non meravigliamoci: vent’anni fa è successa la stessa cosa con la Jugoslavia…

D. – Invece, per quanto riguarda la Siria? Questo è uno scenario che ormai da anni è quasi immutabile nella sua tragicità… C’è un evento, secondo lei, che potrebbe dare una svolta al conflitto siriano?

R. – No. Per il momento, no. Io credo che non essendo riusciti con i gruppi e anche con gli Stati che si erano impegnati a far cadere il regime di Assad, nel loro intento, per parecchio tempo credo che non ci riproveranno.








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